Un gruppo di economisti denuncia gli errori del
Patto per la produttività, chiede alle Parti sociali di fermare il
declino e al governo di sostenere l’impegno per relazioni industriali
più eque, efficaci e produttive
La volontà delle Parti sociali di giungere alla firma
di un accordo programmatico per fermare il declino del sistema
industriale italiano e muoversi in una prospettiva di crescita non può e
non deve essere sprecata. Troppo evidenti sono, da un lato, le
difficoltà di cui soffre il nostro sistema produttivo, così come,
dall’altro lato, la necessità di offrire una prospettiva di crescita
economica sostenibile e di benessere per le future generazioni.
Proprio perché condividiamo questa necessità e urgenza, riteniamo che il testo conclusivo accordo sulla produttività, proposto
da Confindustria il 16 novembre 2012 alla firma delle varie
organizzazioni imprenditoriali e sindacali delle imprese e dei
lavoratori costituisca un riferimento importante ma non conclusivo del
confronto tra le Parti sociali. Questo testo deve essere migliorato
affrontando i nodi ancora aperti, al fine che tutte le Parti sociali
possano porvi con convinzione la loro firma. Se occorre tempo, si prenda
tempo e si continui il confronto.
Riteniamo che i seguenti aspetti meritino una ulteriore riflessione.
1)
Non è opportuno accordarsi sul merito di quanto deve essere fatto nella
contrattazione collettiva per innescare un circolo virtuoso tra
crescita delle retribuzioni e crescita della produttività prescindendo
dalla questione aperta della democrazia sindacale, della certificazione
della rappresentanza, della esigibilità degli accordi sottoscritti, dei
diritti di rappresentare e contrattare – diritti da garantire sia per i
firmatari che per i non firmatari degli accordi. Vi sono i presupposti
condivisi nell’accordo del giugno 2011; occorre solo darne attuazione,
per via negoziale tra le confederazioni o, in subordine, per via
legislativa.
2) Gli strumenti di incentivazione fiscale per la
diffusione della contrattazione di secondo livello e l’estensione delle
retribuzioni variabili tramite la contrattazione di secondo livello
(detassazione e decontribuzione) risultano efficaci solo se si
introducono meccanismi di collegamento tra retribuzioni e risultati
d’impresa centrati su: innovazione tecnologica ed organizzativa interna
alle imprese; innovazione di prodotto e di qualità dello stesso; nuove
tecnologie di produzione basate sulle ICT; nuovi disegni organizzativi
dell’impresa e del lavoro; processi formativi, di valorizzazione e
responsabilizzazione delle risorse umane, di coinvolgimento e
partecipazione dei dipendenti e delle loro rappresentanze nella
organizzazione del lavoro e della produzione (in attuazione dell’art. 46
della Costituzione). Essenziale risulta l’attivazione delle complementarità
tra questi fattori che rendono moltiplicativo il loro impatto sulla
produttività. Ogni scorciatoia che prediliga tradizionali indicatori di
produttività e redditività output-oriented rischia di
rendere inefficace il meccanismo premiante che si intende introdurre,
lasciando aperta la strada a forme di salario variabile “cosmetiche” con
effetti nulli sulla competitività delle imprese. Modelli di
incentivazione dello sforzo lavorativo o di suddivisione del rischio
sono tipici di concezioni di impresa arcaiche che introducendo
comportamenti non-virtuosi possono perfino abbassare la produttività, la
redditività e la competitività dell’impresa e dell’economia nel suo
complesso, accrescendo le zone di rendita già presenti, che ostacolano
le opportunità di ripresa.
3) La strategia che tende a far
crescere il ruolo della contrattazione di secondo livello, aziendale e
territoriale, a scapito di quella di primo livello, nazionale, in
ragione anche della ridotta estensione attuale della contrattazione
decentrata, corre il rischio di produrre una ulteriore riduzione delle
protezioni e delle tutele che solo il contratto nazionale garantisce ai
lavoratori dipendenti; al contempo con questa strategia si rischia che
una quota della retribuzione certa fissata col contratto nazionale sia
trasformata in retribuzione incerta perché variabile definita a livello
decentrato, vanificando quell’aumento delle retribuzioni reali auspicato
da molti come utile misura per sostenere la domanda interna, a tutto
svantaggio non solo dei lavoratori ma del sistema delle imprese e
dell’economia nel suo complesso.
Abbiamo a cuore il sistema
produttivo italiano, la sua capacità concorrenziale nel contesto
internazionale, la crescita della sua capacità di creare reddito e
benessere sostenibili nel tempo per l’intera comunità. Al contempo siamo
convinti che l’intero sistema delle imprese ed il mondo del lavoro
tutto sono indispensabili per costruire insieme un cambio di direzione e
imboccare insieme una via di uscita, ma non possono sopportare da soli i
costi del necessario cambiamento strutturale. L’azione del Governo è
altrettanto indispensabile, sul terreno delle politiche di innovazione,
delle risorse economiche per supportare le imprese nelle loro strategie
innovative, delle politiche di istruzione e di sostegno diretto al
sistema della ricerca, pubblica e privata, di riduzione del carico
fiscale sulla produzione di reddito e sul lavoro.
Per queste
ragioni auspichiamo che il confronto tra le Parti sociali non si
interrompa ma prosegua al fine di giungere alla firma di un Accordo per la crescita della produttività e della competitività in Italia
che non prescinda da quanto sopra delineato ma che anzi se ne faccia
carico in toto; ed al contempo auspicano che il Governo trovi la volontà
politica e le risorse economiche per supportare la realizzazione
concreta di tale Accordo.
20 Novembre 2012
Prof. Nicola Acocella, Università La Sapienza, Roma
Prof. Riccardo Leoni, Università di Bergamo
Prof. Paolo Pini, Università di Ferrara
Prof. Leonello Tronti, Università di Roma Tre
Coloro che desiderano aderire all’Appello sono invitati ad inviare una mail al seguente indirizzo:
indicando nell’Oggetto: Aderisco all’Appello “Un Patto che sia utile per il Paese"
e nel testo: Nome, Cognome, qualifica, città
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