lunedì 7 ottobre 2013

La povertà è figlia del destino cinico e baro? Dichiariamo illegale la povertà

La società ha fabbricato e continua a fabbricare impoveriti, con maggiore forza ed “efficacia” a partire dagli anni ’70-80. Quali sono i principali fattori strutturali alla base dei processi d’impoverimento?
La produzione degli impoveriti avviene in luoghi e spazi sociali ben definiti anche se diversi a seconda dei paesi, delle regioni e dei tempi. Non vi sono “leggi naturali d’impoverimento”, ma soggetti collettivi (pubblici e privati) e meccanismi di funzionamento. Vi sono cioè “le fabbriche” dell’impoverimento. Esse funzionano – è il caso di dirlo – giorno e notte. I suoi “lavoratori” non scioperano mai. Sono soprattutto “locali” pur essendo prodotti da “fabbriche sempre di più globali”.
La tipologia proposta qui di seguito vale essenzialmente per le società occidentali ed “occidentalizzate”, cioè oramai per una larghissima parte delle società attuali. Si tratta di una tipologia elaborata a partire dalle dinamiche che hanno dato spazio alla non universalità della dignità umana, ai non-diritti ed alla non-cittadinanza.
L’impoverimento avviene attraverso le seguenti fabbriche:
la fabbrica dell’inevitabilità della povertà, alimentata da un immaginario collettivo molto diffuso nel mondo costruito sulla “naturalità” della povertà;
la fabbrica dell’ineguaglianza, che approvvigiona pratiche sociali e collettive quali il buonismo, il paternalismo, il caritatismo assistenziale, la politica dell’aiuto;
la fabbrica dell’esclusione e dell’ingiustizia, ovvero il dominio della triade “capitale, impresa, mercato” che legittimizza l’impoverimento sacralizzando il valore assoluto della ricchezza privata (accumulo del capitale e primato del reddito da capitale);
la fabbrica della predazione della vita il cui motore principale è la finanziarizzazione dell’economia assunto a principio maggiore della regolazione delle relazioni tra gli esseri umani, e tra essi e la natura.
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