mercoledì 28 agosto 2013

A proposito di Imu e della sua presunta abolizione. Pareri a confronto

Il viceministro all'Economia, Stefano Fassina (Pd), scrive su Fb: 
La macchina della propaganda del Pdl va a mille. Tanti ci cascano. La tassa sulla prima casa viene ridefinita, non cancellata. L'imu non c'è più, ma l'imposizione rimane e viene ridotta. La service tax avrà come base imponibile la rendita catastale, rivista dopo riforma catasto, e nel caso degli inquilini graverà prevalentemente sui proprietari. Viene restituita ai comuni il potere di definirla. Inoltre, il decreto dimezza l'imu sui beni strumentali delle imprese, si rifinanzia la cassa integrazione in deroga per mezzo miliardo e si risolve la drammatica situazione degli esodati più sfortunati, i licenziati individuali. Se vi fosse stato un governo di centrosinistra avremmo sostenuto di più le famiglie piû in difficoltà e i produttori. Purtroppo questo è un governo di compromesso. Ma è un compromesso utile.

Gli fa eco Giovanni La Via (capo delegazione PDL al Parlamento Europeo) che, sempre su Fb, afferma:

La definitiva cancellazione dell’Imu è un successo fortemente voluto e ottenuto dal Popolo della Libertà che quest’oggi ha trovato il suo compimento grazie allo sforzo di tutto il partito, del suo segretario Alfano e del presidente Berlusconi. Un plauso all’azione di Governo e in maniera particolare a quella del nostro partito viene da tutto il mondo agricolo che, con l’abolizione dell’Imu anche sui fabbricati agricoli, può tirare un sospiro di sollievo e liberarsi di una tassa odiosa ed iniqua che andava al più presto superata.

La buona notizia di quest’oggi è la conferma che i nostri programmi elettorali, una volta al Governo, seppur in condizioni di coabitazione, vengono prontamente realizzati. Superato questo scoglio potremo procedere per rendere operative le altre misure necessarie alla crescita e allo sviluppo.

Dunque: 
a) non ho capito se l'Imu è stata abolita;
b) mi sento preso in giro.



martedì 27 agosto 2013

Sveglia! Appello urgente per la pace nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Non c’è più tempo per l’indifferenza e l’ipocrisia. Agire è difficile. Non farlo sarà catastrofico.


Sveglia! Quello che sta succedendo ad un passo dai nostri confini (in Siria, Egitto ma non solo) è estremamente pericoloso. E richiede la nostra attenzione urgente perché riguarda molto da vicino la vita nostra e dei nostri figli.

Chi più di noi può capire che qui nel Mediterraneo si sta forgiando il nostro futuro? Chi più di noi deve temere le conseguenze drammatiche delle stragi quotidiane di vite umane, delle atrocità e dei crimini che si stanno consumando lungo le sponde di questo mare? 

Eppure la politica tace. E quando parla, nessuno se ne accorge. L’informazione è distorta, superficiale, frammentata. E anche la coscienza civile sembra disinteressata e disimpegnata.

Certo, anche l’Italia sta vivendo una crisi difficile. Ma ignorare quello che sta accadendo a ridosso delle nostre frontiere, il sangue che sta scorrendo, la sofferenza che sta montando, le fratture che si stanno moltiplicando, le tensioni che si stanno intrecciando, non ci consentirà di uscirne.

E’ vero: l’Italia non può fare da sola. Ma se l'Onu è emarginata e l'Unione Europea balbetta disordinatamente la colpa è dei governi e, nella sostanza, delle forze politiche che li compongono e li sostengono. Per questo abbiamo innanzitutto bisogno di cambiare il nostro atteggiamento. E quello dell’Italia.

Negli ultimi due anni abbiamo sprecato molte opportunità. La situazione è (sempre più) complessa, la nostra capacità di influenzare gli eventi è (sempre più) limitata, ma quello che possiamo fare va fatto, presto e bene.

Abbiamo bisogno di capire cosa sta accadendo, di aprire un grande dibattito pubblico che consenta all’Italia di definire una proposta politica lungimirante e di trasformarla in politica europea. Serve una diffusa progettualità concreta che coinvolga cittadini, associazioni e istituzioni dalle città all’Onu. Abbiamo bisogno di mettere le istituzioni democratiche della comunità internazionale nella condizione di operare tempestivamente ed efficacemente per la risoluzione pacifica dei conflitti, il disarmo, la sicurezza umana e la costruzione della pace positiva. Abbiamo bisogno di agire concretamente senza dover ricorrere all'intervento armato che, al di là di ogni pur necessaria considerazione di carattere etico e giuridico, non potrebbe che causare ulteriori sofferenze e instabilità come dimostra la miope prassi degli ultimi vent'anni. Ma per questo serve una visione per il futuro e serve rinsaldare quei principi fondamentali che sono alla base della convivenza e che devono guidare l’azione politica a tutti i livelli: il ripudio della guerra, la condanna per ogni forma di violenza e di arbitrio, il primato della dignità umana, il rispetto del diritto internazionale dei diritti umani, il dovere di solidarietà con tutte le vittime. Non c’è più tempo per l’indifferenza e l’ipocrisia. Agire è difficile. 

Non farlo sarà catastrofico. 

Savino Pezzotta, Don Luigi Ciotti, Flavio Lotti, Antonio Papisca, Marco Mascia, Marco Vinicio Guasticchi, Beppe Giulietti, Ottavia Piccolo, p. Efrem Tresoldi, Gabriella Stramaccioni
 
Per adesioni e comunicazioni: www.perlapace.it Tel. 335.6590356 - 075/5736890 - fax 075/5739337 email: 
Perugia, 26 agosto 2013

giovedì 22 agosto 2013

In Italia, povertà sanitaria aumentata del 97 per cento in sette anni

Presentato a Rimini, in occasione del Meeting di Comunione e Liberazione, il dossier realizzato da Banco farmaceutico e Caritas Italiana: in aumento i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare i medicinali. Boom di richiesta di farmaci al centro Italia: +476%. 

(Pubblico il comunicato stampa)

Sono dati drammatici sui quali ci soffermiamo poco, sui quali, al contrario, dovremmo riflettere. Non ci si cura più.  Curarsi si è trasformato da diritto, sancito costituzionalmente, a "lusso" che sempre meno persone possono permettersi.

ROMA - In Italia dal 2006 al 2013 la povertà sanitaria è aumentata in media del 97%. In sintesi sono aumentati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare i medicinali anche quelli con prescrizione medica. Insomma: se prima la crisi colpiva le famiglie costringendole a fare a meno di alimenti, di vestiario e di generi di consumo, oggi è in difficoltà anche la capacità di procurarsi le medicine.È questo uno dei dati che emerge dal dossier realizzato dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus e presentato insieme alla Caritas Italiana in occasione della XXXIV edizione del Meeting di Rimini.
Come detto, i dati emersi dal dossier sono il frutto del lavoro svolto da sette anni, dal 2006 al 2013, dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus che su tutto il territorio nazionale raccoglie (grazie alla Giornata Nazionale di Raccolta del Farmaco e alle donazioni aziendali) e distribuisce agli enti convenzionati che fanno richiesta di medicinali. Tra questi le Caritas diocesane, il centro Astalli, la Comunità di Sant’Egidio solo per citarne alcuni, tutte realtà che intercettano il disagio sociale in “diretta”. Le categorie sociali che fanno richiesta di medicinali sono ampie: dalle famiglie numerose, agli anziani con pensione minima, fino agli immigrati, anche irregolari.
I risultati sono stati poi incrociati con i dati della Caritas Italiana provenienti da un campione di 336 Centri di Ascolto attivi in 45 diocesi. “In termini percentuali – affermano Banco farmaceutico e Caritas - l’aumento delle richieste di farmaci è stato pari al 57,1% in tre anni, anche se in termini assoluti non è tra le richieste prioritarie. Molto probabilmente, tale forma di richiesta è assorbita da altre voci del sistema di classificazione. In effetti tre sole voci - richiesta generica beni primari, richiesta generica sussidi economici e assistenza sanitaria – coprono il 70,4 % delle richieste complessive”.
“Assistiamo ad un crescente bisogno di farmaci – commenta Paolo Gradnik, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico – da parte delle più importanti strutture di assistenza caritative. In alcuni casi si tratta di vera emergenza a causa dell’aumento della crisi economica che colpisce soprattutto le famiglie. È quanto mai urgente che la Commissione Sanità del Senato approvi in via definitiva la proposta di legge che consentirebbe la donazione di farmaci da parte delle aziende farmaceutiche. È ora che la politica dia segnali concreti sul fronte della povertà sanitaria".
I dati. Per facilitare la comprensione dei dati l’Italia è stata suddivisa in tre macro aree: Italia del nord, centro Italia e Italia del sud e isole.
Per quanto riguarda l’Italia del Nord in sette anni (2006-2013) la povertà sanitaria è cresciuta del 71,91% passando da una richiesta dagli enti assistenziali di 255.783 confezioni di medicinali agli attuali 439.719. “In un contesto di crescita del disagio – si precisa - dobbiamo registrare anche un incremento dei farmaci donati passando dalle 192.490 confezioni del 2006 alle 255.338 del 2013 (fino al mese di luglio compreso). Cresce la povertà, ma aumenta al Nord anche la solidarietà di chi decide di donare un farmaco a chi non se lo può permettere”.

mercoledì 21 agosto 2013

L'imperialismo globale e la grande crisi di Ernesto Screpanti

Si può ancora parlare di imperialismo? E come? Pubblico un'anticipazione del libro di Ernesto Screpanti, L'imperialismo globale e la grande crisi, che è possibile scaricare in calce al post

La tesi centrale di questo libro è che con la globalizzazione contemporanea sta prendendo forma un tipo d’imperialismo che è fondamentalmente diverso da quello affermatosi nell’Ottocento e nel Novecento.
La novità più importante consiste nel fatto che le grandi imprese capitalistiche, diventando multinazionali, hanno rotto l’involucro spaziale entro cui si muovevano e di cui si servivano nell’epoca dei grandi imperi coloniali. Oggi il capitale si accumula su un mercato che è mondiale. Perciò ha un interesse predominante all’abbattimento di ogni barriera, di ogni remora, di ogni condizionamento politico che gli Stati possono porre ai suoi movimenti. Mentre in passato il capitale monopolistico di ogni nazione traeva vantaggio dalla spinta statale all’espansione imperialista, in quanto vi vedeva un modo per estendere il proprio mercato, oggi i confini degli imperi nazionali sono visti come degli ostacoli all’espansione commerciale e all’accumulazione. E mentre in passato il capitale monopolistico aveva interesse all’innalzamento di barriere protezionistiche e all’attuazione di politiche mercantiliste, in quanto vi vedeva un modo per difendersi dalla concorrenza delle imprese di altre nazioni, oggi il capitale multinazionale vota per il libero scambio e la globalizzazione finanziaria. La nuova forma assunta dal dominio capitalistico sul mondo la chiamo “imperialismo globale”.
Una seconda novità è che nell’impero delle multinazionali cambia la natura della relazione tra Stato e capitale. Sta venendo meno quel rapporto simbiotico basato sulla convergenza dell’interesse statale alla costruzione della potenza politica e dell’interesse capitalistico alla creazione di un mercato imperiale protetto. Oggi il grande capitale si pone al di sopra dello stato nazionale, nei confronti del quale tende ad assumere una relazione strumentale e conflittuale ad un tempo. Strumentale, in quanto cerca di piegarlo ai propri interessi, sia con l’azione diretta delle lobby sia con la disciplina dei “mercati”. Conflittuale, in quanto la dislocazione dei suoi interessi su uno spazio mondiale genera nelle economie delle nazioni, soprattutto quelle a capitalismo avanzato, delle difficoltà economiche che mettono in crisi la funzione di “capitalista collettivo nazionale” assunta in passato dagli stati.
Quella funzione, nei regimi imperiali otto-novecenteschi, era necessaria per dare il sostegno della nazione alle politiche fatte al servizio del capitale. Ed era resa possibile dall’afflusso di plusvalore proveniente dalle colonie. Lo stato operava per distribuire parte del plusvalore tra le varie classi sociali, in modo da creare un blocco sociale capace di stringere gli interessi della collettività intorno a quelli del capitale. Quella forma d’imperialismo generava nelle metropoli delle consistenti aristocrazie operaie e rendeva possibile la formazione di partiti riformisti che miravano a servire gli interessi immediati del proletariato conciliandoli con quelli della nazione.

lunedì 19 agosto 2013

Spread e deficit: ma non erano collegati?


In questi giorni, a cavallo del ferragosto 2013, due notizie mi hanno particolarmente colpito.
Due notizie correlate tra loro, la prima che lo spread ha raggiunto un livello dal quale si era allontanato da luglio 2011; la seconda, che il debito pubblico italiano ha raggiunto il suo record storico.
Mi è venuto da riflettere sul fatto che negli ultimi due anni con la scusa dello spread ci siamo dovuti sorbire a parte il governo Monti, le sue ricette economiche e sacrifici di una portata inenarrabile. 
Il mettere ordine (il loro ordine) nei conti pubblici era trasformato nella precondizione per un abbassamento dello spread, il cui livello, ci dicevano, era insostenibile. 
Saremmo diventati come la Grecia (chissà cosa avrebbe significato).
Ci hanno terrorizzato.
Siamo stati costretti ad accettare cose che, in condizioni normali, senza il ricatto dello spread, non avremmo mai accettato. 
Voglio ricordare la riforma delle pensioni, la modifica dell'art.18, la modifica della Costituzione sul pareggio di bilancio, il fiscal compact e tanto altro.
Oggi scopriamo che le due cose non sono correlate
Che lo spread è una variabile indipendente rispetto al deficit pubblico.
Di questo, però, nessuno parla.
In virtù di questo legame, invece, si sono affermate le politiche recessive che tutti conosciamo e che ci stanno impoverendo, che producono ogni giorno nuovi disoccupati e forme di povertà a noi, fino adesso, sconosciute
Tutto questo in nome di "parametri"  di cui non fotte niente a nessuno, se si escludono quattro euroburocrati a Bruxelles e i molti banchieri che, grazie alla crisi e alle nostre spalle, si sono arricchiti.


sabato 10 agosto 2013

Sciascia e i professionisti dell'antimafia: di ieri e di oggi


In questi giorni di dura polemica sulle "infiltrazioni" mafiose nelle manifestazioni pacifiche, tenute a Niscemi, contro l'istallazione del sistema Mous, mi è venuto in mente l'articolo che Leonardo Sciascia pubblicò sulle colonne del Corriere della Sera il 10 gennaio 1987.
L'articolo, alcuni lo ricorderanno, suscitò un vespaio di polemiche. Sciascia fu additato quasi come sodale di un'associazione mafiosa. Eppure, le sue provocazioni ci hanno sempre aiutato a comprendere meglio ciò che avveniva attorno a noi.
Ricordate, il suo nè con lo stato, nè con le brigate rosse? 
Qualcuno poteva dire che Sciascia fosse un terrorista? Fu messo in croce, indicato quale fiancheggiatore.
O il suo libro, L'Affaire Moro, che raccoglieva la relazione di minoranza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Moro?
Sarebbe bello che questo articolo fosse letto con attenzione da quanti hanno costruito carriere folgoranti, solo per essersi autodefiniti antimafiosi e dal pulpito raggiunto, oggi,  concedono o ritirano la patente di antimafiosità.
So bene che ci inoltriamo su un terreno molto ma molto scivoloso e non voglio mettere in dubbio l'impegno di contrasto al fenomeno mafioso di tanti.
Quello che non mi sento più di accettare è che la dialettica politica venga ridotta ad un semplice quanto odioso "se non sei con me, sei con la mafia".
Questo lo dobbiamo ai tanti, e sono la stragrande maggioranza, che in silenzio, senza scorta, senza finire sulle prime pagine dei giornali, danno il contributo a rendere migliore questa Sicilia.
Come quelle ragazze, quei ragazzi, quelle donne, quegli uomini normali e quelle mamme che lottano per contrastare l'istallazione Mous a Niscemi.
E che si sentono offesi dalle parole del Presidente Crocetta. 

La documentatissima analisi dello storico inglese Christopher Duggan sul fenomeno criminale sotto il regime mussoliniano - Anche nel sistema democratico può avvenire che qualcuno tragga profitto personale dalla lotta alla delinquenza organizzata - Uomini pubblici che esibiscono a parole il loro impegno contro le cosche e trascurano i propri doveri amministrativi

SOMMARIO: Due autocitazioni, da "Il giorno della civetta" e da "Ciascuno il suo", per chiarire cosa egli pensi, da sempre, sulla mafia. Segnala poi il libro recentemente uscito in Italiano, di uno storico inglese che ha studiato la mafia sotto il fascismo, non tanto in quel che essa era in sé ma per ciò che se ne pensava intorno (Christopher Duggan, "La mafia durante il fascismo"). Purtroppo, a nulla servono i buoni libri (neanche i suoi due, citati all'inizio) per far apprendere una "dolorosa e in qualche modo attiva coscienza del problema"; anche i suoi, forse, sono stati letti tutt'al più "en touriste", alla ricerca del "lieto fine". Ma quando Luigi Sturzo, nel 1900, scrisse un dramma sulla mafia, esso non aveva - già allora - un lieto fine. Poi, a don Sturzo è succeduta la DC, un partito "a dir poco indifferente al problema".

Storicamente, in Sicilia, il fascismo stentò a sorgere dove il socialismo era debole. E la mafia, che aveva impedito lo sviluppo del socialismo, era già fascismo. Tanto che essa cominciò a temere certe manifestazioni più intransigenti e "rivoluzionarie" di settori del fascismo, degli ex-combattenti, dei giovani nazionalisti, ecc., temuti anche dal fascismo agrario del nord: come è il caso di Alfredo Cucco, fascista di linea radical-borghese, arrestato dallo stesso fascismo. In Sicilia ci fu uno scambio, tra il fascismo ed agrari ed esercenti di zolfare; il fascismo dava loro sicurezza, ma questi dovevano liberarsi delle frange criminali. Questa fu opera del prefetto Mori, uomo di gran senso del dovere verso lo Stato, che così venne favorendo le aree fasciste conservatrici a danno delle più "progressiste".: insomma, con Mori si ha il paradosso di una "antimafia" come "strumento del potere". Qualcosa di simile può succedere anche oggi: chi rimprovererà un sindaco che si occupi di mafia magari trascurando di amministrare la sua città? In altro campo, c'è da segnalare un episodio che ha visto il dottor Paolo Borsellino scavalcare, nell'assegnazione al posto di procuratore della repubblica di Marsala, un altro concorrente più anziano, perché questi non era stato mai incaricato di processi contro la mafia..

giovedì 8 agosto 2013

Da emigrato a ministro.

Peter Bayuku Konteh
Nel giorno nel quale ricordiamo la strage della miniera di Marcinelle, 262 morti in miniera, la quasi totalità, emigrati, voglio presentare una storia a lieto fine.
Quella di un immigrato della Sierra Leone che, ritornato in patria, è diventato ministro del turismo.
L'articolo in questione è stato pubblicato sul sito di redattore sociale.

ROMA – Negli anni novanta era immigrato in Italia per sfuggire alla guerra civile che stava devastando il suo Paese. Ora, Peter Bayuku Konteh è diventato ministro del Turismo e dei beni culturali della Sierra Leone. La sua storia è raccontata in un articolo di Anna Pozzi pubblicato nel numero luglio-agosto 2013 della rivista Africa. In Italia Peter era un immigrato completamente integrato. Arrivato a Roma grazie ad una borsa di studio, in pochi anni si era laureato in Filosofia e Scienze sociali all’Università Gregoriana. Sposato con un italiana aveva trovato lavoro a Milano in una multinazionale delle telecomunicazioni. Ma no voleva rimanere lontano dall’Africa per sempre.     
La Sierra Leone occupa uno degli ultimi posti delle classifiche mondiali dello sviluppo. Peter voleva fare qualcosa di utile per la sua gente. “Il mio Paese ha sofferto troppo – dice: - morte, distruzione, migliaia di persone a cui sono stati amputati gli arti e una miriade di bambini soldato. Bisognava ricostruire non solo in termini materiali. Si trattava di ridare un po’ di speranza alla gente.” Peter ha cominciato portando aiuti materiali, facendo la spola tra l’Italia e la Sierra Leone. Nel 2008 è rientrato definitivamente e si è fatto tentare dalla politica. Sì è candidato come governatore della sua regione, Koinadugu, una delle più povere del Paese, ottenendo una vittoria “plebiscitaria”. Nei quattro anni di mandato molto è stato l’impegno e i risultati ottenuti. Per questo il presidente rieletto della Sierra Leone, Ernest Bay Koroma, lo ha voluto tra i suoi ministri. 
Ora Peter Bayuku Konteh ha un obiettivo ambizioso: cambiare l’immagine della Sierra Leone per rilanciare il turismo. “Si tratta di ricostruire le infrastrutture turistiche distrutte durante la guerra e di formare il personale locale per attrarre i turisti dice. – Questa potrebbe essere anche una strada per promuovere l’impegno giovanile. I ragazzi della Sierra Leone meritano di avere una chance per costruirsi un futuro. Ce la possono fare. La mia storia personale lo dimostra".

mercoledì 7 agosto 2013

Marcinelle: 8 agosto 1956. Per non dimenticare

8 agosto 1956 un incidente nella miniera di carbone di Marcinelle in Belgio provoca la morte di 256 minatori, la gran parte emigrati italiani.
Non dobbiamo dimenticare mai. 
Il lavoro è vita, è rispetto della dignità, è libertà



La strage di Marcinelle su Wikipedia

martedì 6 agosto 2013

La sentenza di primo grado del processo a Berlusconi sui diritti Mediaset

Hanno evocato un colpo di stato, poi una guerra civile e perchè? ....perchè tre gradi di giudizio hanno riconosciuto Berlusconi colpevole di frode fiscale.
Hanno detto che è un perseguitato, che la magistratura rossa lo vuole eliminare.
Io, ho fatto la cosa che invito a fare, a partire dai sostenitori del Pdl,  mi sono letto la sentenza di condanna, formulata in prima istanza e, successivamente, confermata negli altri due gradi di giudizio.
Un'idea me la sono fatta: c'è tutto il malaffare di Berlusconi.
La pubblico e a voi il giudizio.

lunedì 5 agosto 2013

I fatti del mese di luglio 2013

Dal sito dell'Associazione uguaglianza e libertà, i fatti più importanti avvenuti nel mondo e in Italia nello scorso mese di luglio.
Nulla di esaustivo ma una serie di elementi per comprendere meglio ciò che avviene ed avvenuto intorno a noi.
Una lettura utile anche per capire cosa ci attende

sabato 3 agosto 2013

I cortili dello Zio Sam di Noam Chomsky


Noam Chomsky è considerato il guastafeste dell'intellighenzia america.
Pur essendo titolare di una cattedra presso il prestigioso Mit, non ha nel suo paese la stessa notorietà che riscuote in tutti gli altri paesi.
E' uno che ha il coraggio di dire fino in fondo ciò che pensa degli Usa, del ruolo che questa potenza esercita nel mondo e soprattutto dei metodi che adotta per continuare a mantenere la propria supremazia.
Oggi, per caso, mi sono imbattuto in questo suo scritto nel 1992 sulla politica estera degli Usa dal titolo "I cortili dello Zio Sam"
A maggior ragione oggi,  in presenza di una crisi mondiale che sta mettendo in discussione l'ordine mondiale.
Un paese, gli Usa, che usano tutti i mezzi leciti e anche illeciti per governare il mondo.
Buona lettura.

La narrazione e i fatti. Il governo Meloni fa scuola

NARRAZIONE: “si introduce un esonero dal versamento del 100 per cento dei contributi previdenziali ed assicurativi a carico del datore di la...