mercoledì 25 dicembre 2013

L'analisi lucida (come al solito) di Luciano Gallino su quello che è accaduto, su quello che sta accadendo.


Il tracollo finanziario di questi anni non è dovuto a un incidente del sistema ma è il risultato dell'accumulazione finanziaria perseguita ad ogni costo per reagire alla stagnazione economica di fine secolo. L'introduzione al libro del sociologo Luciano Gallino, "Il colpo di Stato di banche e governi"
La crisi esplosa nel 2007-2008 è stata sovente rappresentata come un fenomeno naturale, improvviso quanto imprevedibile: uno tsunami, un terremoto, una spaventosa eruzione vulcanica. Oppure come un incidente tecnico capitato fortuitamente a un sistema, quello finanziario, che funzionava perfettamente. In realtà la crisi che stiamo attraversando non ha niente di naturale o di accidentale. E stata il risultato di una risposta sbagliata, in sé di ordine finanziario ma fondata su una larga piattaforma legislativa, che la politica ha dato al rallentamento dell'economia reale che era in corso per ragioni strutturali da un lungo periodo. Alle radici della crisi v'è la stagnazione dell'accumulazione del capitale in America e in Europa, una situazione evidente già negli anni Settanta del secolo scorso. Al fine di superare la stagnazione, i governi delle due sponde dell'Atlantico hanno favorito in ogni modo lo sviluppo senza limite delle attività finanziarie, compendiantesi nella produzione di denaro fittizio. Questo singolare processo produttivo ha il suo fondamento nella creazione di denaro dal nulla vuoi tramite il credito, vuoi per mezzo della gigantesca diffusione di titoli totalmente separati dall'economia reale, quali sono i «derivati», a fronte dei quali – diversamente da quanto avveniva alle loro lontane origini – non prende corpo alcuna compravendita di beni o servizi: sono diventati di fatto l'equivalente dei tagliandi di una lotteria. Tuttavia, essendo possibile venderli e trasformarli cosi in moneta, essi rappresentano una nuova forma di denaro che insieme con la creazione illimitata di denaro mediante il credito ha invaso il mondo, rendendo del tutto impossibile stabilire quanto denaro sia in circolazione, tolta la piccola quota – pochi punti percentuali – di monete e banconote stampate e di denaro elettronico creato dalle Banche centrali. Il problema è che il denaro creato dal nulla può sì essere prontamente convertito in beni e servizi reali, ma altrettanto velocemente può scomparire in ogni momento, come avvenne con straordinaria ampiezza tra il febbraio e l'ottobre del 2008.
Fatta eccezione del contante e del denaro creato dalle Banche centrali per le loro finalità istituzionali, quasi tutto il denaro in circolazione viene creato da banche private mediante la concessione di crediti o la confezione di titoli. Nella Ue, le banche private sono arrivate a concedere in totale trilioni di euro di crediti ovvero di prestiti, mentre possedevano nei loro caveau reali o elettronici non più del 4-5 per cento di capitale proprio, o in riserva presso la Bce non più dell'1-2 per cento del totale dei prestiti erogati. Sono in ciò insite due distorsioni del sistema finanziario in essere che si collocano persino al di là della creazione patologica di fiumi di denaro dal nulla che ha concorso a causare la crisi. Su di esse si ritornerà ampiamente nel testo. Basti annotare per ora, in primo luogo, che il potere di creare denaro è uno dei poteri fondamentali di uno Stato. Averlo lasciato da lungo tempo per nove decimi alle banche private, e averne anzi favorito con ogni mezzo l'espansione, è un vizio che sta minando alla base l'economia mondiale. In secondo luogo, le banche creano denaro dal nulla con pochi tocchi sulla tastiera di un Pc, ma poi da coloro che ricevono quel denaro in prestito – famiglie, imprese, lo Stato – pretendono sostanziosi interessi. E nel caso di mancato pagamento degli interessi o delle quote di capitale in scadenza hanno diritto di sequestrare a essi ogni sorta di beni mobili e immobili, per tal via convertendo il nulla in case o terreni o impianti industriali che diventano una loro proprietà. È una (il)logica che sfida l'immaginazione più accesa (1).
In questo modo la politica ha attribuito alla finanza, non da oggi bensì da generazioni, un potere smisurato. Negli anni Cinquanta del Novecento si parlava di «complesso militare-industriale» facendo riferimento agli stretti rapporti economici, politici, ideologici stabilitisi nelle società industriali avanzate tra le forze armate e le maggiori aziende industriali. Fu il presidente Eisenhower, nel suo discorso di congedo (gennaio 1961) a sollecitare gli Stati Uniti e il mondo a guardarsi dal «disastroso aumento di potere» che tale complesso lasciava intravedere (2). Dagli anni Ottanta in poi si dovrebbe invece parlare di «complesso politico-finanziario», in presenza dei rapporti sempre più stretti che si sono sviluppati tra politica e finanza, nella Ue come negli Usa.
Stabilito che la crisi in atto è un fenomeno strutturale, non un incidente di percorso, e che ha alle spalle distorsioni profonde dell'intero sistema finanziario e monetario, per vari aspetti connesse con la stagnazione dell'economia reale, va precisato che le «strutture» non operano da sole. Hanno bisogno di persone che ne interpretano le logiche, le modificano per adattarle ai tempi e le applicano. Sebbene vi siano notevoli differenze tra politica ed economia quanto a possibilità di imputare determinate azioni a certi gruppi o individui, la crisi è stata ed è l'esito di azioni compiute da un numero ristretto di uomini e donne che per lungo tempo, tramite le organizzazioni di cui erano a capo o in cui operavano, hanno perseguito consapevolmente determinate finalità economiche e politiche. Hanno compiuto quelle azioni in parte perché l'ideologia da cui erano guidate non consentiva loro di scorgere alternative; in parte per soddisfare i propri interessi o quelli di terze parti. Azioni compiute con la possibilità di avvalersi di risorse enormi, in campo economico come in quello politico, senza però darsi minimamente pensiero delle conseguenze che le azioni stesse potevano produrre a danno di un numero sterminato di individui. Il sistema che tali soggetti hanno costruito e guidato, il complesso politico-finanziario, era affetto sin dagli inizi da gravi difetti progettuali e aveva già manifestato nei decenni precedenti ripetuti segnali di malfunzionamento. Dinanzi alle sue cause e conseguenze, la crisi esplosa nel 2007 può essere definita come il più grande fenomeno di irresponsabilità sociale di istituzioni politiche ed economiche che si sia mai verificato nella storia (3).

sabato 14 dicembre 2013

...e a pagare sono sempre i più deboli. Vita di bambini nella civile Italia

Una tenaglia di povertà e deprivazione che giorno dopo giorno stringe ai fianchi sempre più bambini e adolescenti, costringendoli a vivere un presente con pochissimo “ossigeno”: cibo al discount, pochi o nessun libro, scuola solo la mattina senza neanche un’ora in più per attività di svago e socializzazione, e poi a casa, in uno spazio piccolo e soffocante, nient’altro da fare nel tempo libero perché non ci sono soldi e gli aiuti che arrivano dai servizi sociali se ci sono, sono pochi, perché il Comune è in default.
È il contrario di ciò che dovrebbe essere l’infanzia e di come dovrebbe  essere il nostro paese per le sue giovani generazioni quanto emerge ne “L’Italia SottoSopra”, il 4° Atlante dell’Infanzia (a rischio) in Italia di Save the Children, diffuso stamattina alla presenza, tra gli altri, dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Vincenzo Spadafora, del Dirigente nel Servizio Studi di Struttura Economica e Finanziaria della Banca d’Italia Paolo Sestito, del Direttore Dipartimento Statistiche Sociali ed Ambientali ISTAT Linda Laura Sabbadini 
Sono oltre 1 milione i minori che vivono in povertà assoluta, il 30% in più nel 2012, pari a 1 minore su 10, documenta  “L’ItaliaSottoSopra” con l’aiuto anche di 50 mappe; 1 milione e 344 mila vivono in condizioni di disagio abitativo; 650.000  in comuni indefault o sull’orlo del fallimento, e per la prima volta è di segno negativo la percentuale di bambini presi in carico dagli asili pubblici, scesa dello 0,5%. Il 22,2% di ragazzini  è in sovrappeso e il 10,6% in condizioni di obesità: il cibo buono costa e le famiglie con figli hanno ridotto i consumi e gli acquisti (-138 euro in media al mese), anche alimentari; 1 bambino su 3  non può permettersi un apparecchio per i denti. 11 euro mensili il budget delle famiglie più disagiate con minori, per libri e scuola, una cifra 20 volte inferiore a quella del 10% delle famiglie più ricche; sui 24 paesi Ocse, Italia ultima per competenze linguistiche e matematiche nella popolazione 16-64 anni e per investimenti in istruzione: +0,5% a fronte di un aumento medio del 62% negli altri paesi europei (Ocse); sono 758.000 gli early school leavers e oltre 1 milione i giovani disoccupati.
In questa fase di crisi i bambini e gli adolescenti si ritrovano stretti in una morsa: da una parte c’è la difficoltà di famiglie impoverite, spesso costrette a tagliare i consumi per arrivare alla fine del mese,  dall'altra c’è il grave momento che attraversa il Paese, con i conti in disordine, la crisi del welfare, i tagli dei fondi all’infanzia, progetti che chiudono. In mezzo, oltre un milione di minori in povertà assoluta, in contesti segnati da disagio abitativo, alti livelli di dispersione scolastica, disoccupazione giovanile alle stelle”, commenta Valerio Neri, Direttore Generale Save the Children Italia.“Un numero così grande e crescente di minori  in situazione di estremo disagio, ci dice una cosa semplice: la febbre  è troppo alta e persistente e i palliativi non bastano più, serve una cura forte e strutturata. E la cura è, secondo Save the Children ma anche istituzioni autorevoli come la Banca d’Italia e l’Ocse, investire in formazione e scuola di qualità, laddove l’Italia è all’ultimo posto in Europa per competenze linguistiche e matematiche della sua popolazione. La recessione non è iniziata soltanto 5 anni fa in conseguenza della crisi dei mutui subprime o degli attacchi speculativi all’euro, ma affonda le sue radici nella crisi del capitale umano, determinata dal mancato investimento, a tutti livelli, sui beni più preziosi di cui disponiamo: i bambini, la loro formazione e conoscenza. Sotto questo aspetto, l’Atlante non offre solo una mappa di ciò che non va, ma mostra bene in controluce ciò che si può e si deve fare per rimettere a posto le cose”.
La crisi nel carrello 
Tra il 2017 e il 2012, la spesa media mensile dei nuclei con bambini si è ridotta  di 138 euro (pari al 4,6%), quasi il doppio rispetto a quanto accaduto sul totale delle famiglie. I tagli sono andati a colpire soprattutto l’abbigliamento, i mobili e elettrodomestici, la cultura, il tempo libero e i giochi: quelli  più consistenti si registrano al Sud e al Centro (rispettivamente - 2,56 e 1,82) per quanto riguarda il vestiario, al Nord per la sanità (-0,66%) e nuovamente nel Mezzogiorno per il tempo libero e la cultura (-0,90 punti percentuali). Per quanto riguarda la spesa alimentare, nel 2012 il 66% di famiglie con figli  - ovvero ben 4 milioni 400 mila nuclei familiari con prole - ha ridotto la qualità/quantità della spesa per almeno un genere alimentare.
Il default dei servizi sociali e degli enti locali 
Sono oltre 650 mila i  minori che vivono in comuni completamente falliti (72) o sull’orlo della bancarotta (52).  Amministrazioni costrette ad alzare al massimo le tasse per le prestazioni fondamentali o anche a ridurre alcuni servizi cruciali, come si evince dal calo (-0,5%) - per la prima volta dal 2004 - di bambini iscritti agli asili comunali nel 2011-2012.
L’ascesa della povertà infantile 
Dal 2007 al 2012 i minori in povertà assoluta sono più che raddoppiati, passando da meno di 500 mila a più di un milione. Solo nel 2012, il loro numero è cresciuto del 30% rispetto all'anno precedente, con un vero e proprio boom al Nord (+ 166 mila minori, per un incremento del 43% rispetto al 2011) e al Centro (+41%). Il Sud già fortemente impoverito ha conosciuto un aumento relativamente più contenuto (+20%) e raggiunto la quota stratosferica di mezzo milione di minori nella trappola della povertà.
Ma chi sono i bambini che non hanno il necessario per una vita dignitosa? Sono i figli di genitori disoccupati (+8,5% il tasso di povertà assoluta nelle famiglie senza occupati), oppure  monoreddito ( +3,1% l’escalation della povertà), o ancora bambini i cui genitori hanno un livello d’istruzione basso. Fra i nuclei familiari con capo-famiglia privo di titolo di studio, l’incidenza della povertà assoluta è stata del 3,1%.

Tra povertà economica e povertà educativa c’è una stretta relazione e l’una alimenta l’altra in un circolo perverso”, sottolinea Raffaela Milano, Direttore Programmi Italia-Europa Save the Children Italia. “Se si  comparano i consumi di una famiglia in povertà con una benestante, si rileva che, nella prima, le spese per il pane e il cibo assorbono quasi il 35% del reddito mensile a fronte dell’11% circa di una famiglia più agiata. Così, i meno abbienti cercano di risparmiare dove possono e finisce che all'istruzione - libri scolastici, lezioni private, rette - possano destinare appena 11 euro al mese e 24 alla cultura, tempo libero e gioco a fronte dei  360 euro delle famiglie più abbienti. Questo deficit di spesa educativa delle famiglie in povertà non è compensato da investimenti pubblici su welfare ed educazione, con il risultato che i bambini più poveri vivono una gravissima contrazione delle opportunità educative indispensabili per la loro crescita”.
Minori sotto sfratto 
Negli ultimi 5 anni sono stati emessi quasi 300 mila provvedimenti di sfratto per morosità e ne sono stati eseguiti 100 mila. Nel 2012 le ingiunzioni per morosità hanno superato, per la prima volta, quota 60 mila: ogni 10 sfratti emessi, 9 sono dovuti alla difficoltà o impossibilità delle famiglie di fare fronte alle spese per la casa. Un’ incertezza abitativa che va di pari passo con la precarietà di molte sistemazioni: 1 milione e 344 mila tra bambini e ragazzi, il 12% della popolazione di riferimento, vive in situazioni di particolare disagio - sovraffollamento, alloggi privi di alcuni servizi e con problemi strutturali - con un incremento del 25% rispetto al 2007.
Crescere nell’Italia SottoSopra 
La povertà nel suo senso più ampio - basso reddito, disoccupazione, mancanza di supporti emotivi e psicologici, mancanza di protezione ambientale - rappresenta il maggior “determinante di salute”, cioè ha un impatto rilevante e in negativo sulla speranza di vita e la salute media.  “Studi autorevoli confermano anche la stretta relazione fra i bassi livelli di istruzione delle madri e degli stessi ragazzi e l’insorgenza di alcune patologie come l’obesità. Al crescere dell’istruzione da parte delle madri aumenta il  loro grado di consapevolezza sul reale stato di salute dei figli e ciò costituisce un fattore importante di prevenzione e riduzione del rischio”, spiega ancora Raffaela Milano.
Povertà educativa 
Il capovolgimento dell’Italia SottoSopra, oltre che da fattori contingenti, è prodotto dalla debolezza strutturale del suo capitale umano, caratterizzato da un diffuso analfabetismo funzionale
L’Italia è in ultima posizione fra i 24 paesi Ocse per competenze linguistiche e matematicheIn particolare è il fanalino di coda in quanto a percentuale di individui (16-64 anni) intervistati con un punteggio intermedio (3) o superiore (4 o 5) nella scala delle competenze linguistiche (250 il punteggio del nostro paese a fronte di una media Ocse di 277). I dati riflettono in parte le competenze limitate della popolazione più anziana (55-65 anni), mentre le fasce più giovani (16-24 anni) mostrano un recupero di oltre 20 punti sia in lingua che in matematica, ma il progresso non è sufficiente ad eguagliare le performance della media Ocse: i laureati italiani, in quanto a capacità linguistiche, fanno mediamente peggio dei diplomati di Australia, Giappone, Finlandia e Paesi Bassi. A fronte di ciò, la spesa pro-capite per gli studenti della scuola primaria e secondaria è rimasta di fatto invariata (con un incremento minimo dello 0,5% in termini reali fra il 1995 e il 2010), mentre nei paesi Ocse l’investimento per le stesse voci aumentava in media del 62%. E negli ultimi 5 anni la spesa delle famiglie per l’istruzione, cresciuta di poco al Nord e al Centro per effetto dei rincari di servizi e materiali, è invece scesa leggermente proprio nelle regioni più impoverite del Mezzogiorno.
L’ascensore rotto della scuola
In un quadro di depotenziamento della scuola non stupisce se essa fa più fatica ad attrarre e trattenere gli studenti più disagiati, impedendone la dispersione e favorendone il rafforzamento delle competenze. Nel quinquennio 2002-2007, la percentuale di giovani con un basso livello di istruzione si era ridotta di 4,5 punti in percentuale, quasi un punto all’anno; dal 2007 al 2012, i cosiddetti early school leavers fermi alla sola licenza media hanno preso a scendere al ritmo ben più lento dello 0,4%, passando in 5 anni dal 19,7% all’attuale 17,6% per un esercito di 758 mila giovani con bassi titoli di studio e fuori dal circuito formativo: 5 punti percentuali in più della media europea. Ragazzi che spesso vanno ad accrescere il numero di disoccupati che, nel luglio 2013, hanno raggiunto la cifra record di oltre 1 milione di under 30 e la spaventosa percentuale del 41,2% fra i 15-24enni.
Le Aree ad Alta Densità Educativa 
“L’intensa povertà e deprivazione in cui vivono sempre più bambini, adolescenti e giovani, vuol dire innanzitutto riduzione delle libertà di scelta, privazione di opportunità, chiusura di orizzonti, impossibilità di fissare e raggiungere traguardi.  Ancora prima della mancanza di reddito è questa la povertà che spezza le gambe: una condizione che si può contrastare solo tornando ad investire sulla educazione. Serve più scuola, e di prim'ordine e, allo stesso tempo, servono territori ad alta densità educativa, dove  tutti i bambini, senza alcuna eccezione, possano non solo studiare ma fare attività ugualmente rilevanti, come sport, musica, gioco, stare insieme, scoprendo le proprie passioni e talenti e imparando a pensare il futuro in modo aperto”, spiega ancora Raffaela Milano. “Non mancano gli esempi cui ispirarsi per ribaltare l’Italia sottosopra. Basta guardare a progetti come INVFactor del Cnr- Irps che, attraverso un concorso per la migliore invenzione realizzata, sta portando alla luce la creatività e intelligenza di tanti studenti di istituti tecnici italiani, la rete delle orchestre giovanili,  le esperienze di contrasto alla dispersione scolastica che incidono non solo sulla didattica nelle classi, ma anche sul rafforzamento delle opportunità educative fuori da scuola, sui territori”.

Oltre all'impegno internazionale, Save the Children da più di 10 anni sviluppa programmi per i bambini e gli adolescenti in Italia e in particolare nel 2011 ha attivato un programma di cinque anni, con l’obiettivo di contribuire a rafforzare e rinnovare le infrastrutture sociali ed educative dedicate ai diritti dei minori, con particolare attenzione a quelli in situazione di maggiore disagio. Lo scorso anno sono stati oltre 40mila, dal nord al sud d’Italia, i bambini e adolescenti coinvolti e supportati direttamente da Save the Children e la sua rete di partner locali.” dichiara Claudio Tesauro, Presidente Save the Children Italia. “Dal 2012, inoltre,  per mobilitare l’opinione pubblica italiana e le istituzioni politiche, l’Organizzazione promuove una campagna in aiuto dei bambini a rischio in Italia, coinvolgendo singoli cittadini, imprese, enti locali, il mondo della cultura e dell’informazione, e all'interno della quale si colloca la diffusione di questa 4°edizione dell’Atlante. Con questa pubblicazione, speriamo di contribuire ad accrescere la consapevolezza dei seri rischi che gravano su tanti giovanissimi ma anche sulla reale possibilità di cambiare il presente.”

L'Atlante integrale


lunedì 9 dicembre 2013

ARS, casa dei Siciliani? No, del Presidente di turno.

Forse era prevedibile o forse no, in ogni caso al Forum Regionale del Terzo Settore non è stata concessa la Sala Gialla all'Ars.
Ritengo, pero, doveroso informarvi di quanto accaduto.
All'indomani della riunione di coordinamento del Forum, che aveva deciso di tenere la propria Assemblea Programmatica presso la Sala Gialla dell'Assemblea Regionale Siciliana, grazie alle informazioni avute dall'Arci, mi mettevo in contatto con gli uffici del Presidente dell'Ars per richiedere la concessione della Sala Gialla.
La funzionaria mi informava che occorreva fare richiesta scritta e che i lavori dovevano concludersi entro le ore 14 del 18 dicembre, in quanto nel pomeriggio si sarebbe svolto un altro convegno.
La funzionaria teneva a precisare che nonostante la sala fosse libera, la concessione era subordinata alla discrezionalità del Presidente.
Mi premuravo, quindi,  il 26 novembre a far pervenire la richiesta scritta, cosi come indicato.
Non avendo ricevuto alcuna risposta, il 3 dicembre ritelefonavo alla Presidenza dell'Ars e scoprivo che:
a) che la Sala era impegnata la mattina e non più il pomeriggio;
b) che gli uffici non comunicano l'eventuale diniego ma solo la concessione e, pertanto, occorre telefonare per avere notizie dell'esito della richiesta;
c) concordo, conseguentemente, l'eventuale utilizzo della Sala per il pomeriggio, previo l'assenso dei componenti il Cordinamento Regionale, avuto il quale, richiedo ufficialmente la Sala per il pomeriggio del 18;
d) la funzionaria ci tiene ulteriormente a precisare che il fatto che la Sala sia libera non è indicativo della concessione, che resta sempre a discrezione del Presidente;
e) oggi 9 dicembre, ritelefonando alla Presidenza mi viene comunicato che la Sala non è stata concessa: nessuna spiegazione è stata aggiunta.

Da quanto sopra ne deduco che la Sala Gialla è considerata una "depandance" dell'abitazione privata del presidente di turno, che decide discrezionalmente a chi concederla e a chi no, senza alcun criterio se non quello della valutazione personale.
Apprendo, che è stato sempre così e questo, però, non mitiga la mia rabbia, al contrario l'aumenta.
Come è possibile che la sede più alta della democrazia siciliana sia nella disponibilità di un uomo, senza che i cittadini sappiano e conoscano cosa fare per richiederne l'uso? 
Fermo restando che il Forum terrà la propria assemblea programmatica così come deciso giorno 18, desidero rendere pubbliche
(per quello che può servire)  queste mie riflessioni, invitandovi a farle girare.
Ringrazio quanti mi hanno rassegnato la disponibilità a parlare con il Presidente, la cui sensibilità per il sociale, mi dicono è notoria, ma non ritengo che la cosa possa funzionare in un rapporto personale.
Ho troppo rispetto per le istituzioni e troppo rispetto per ciò che rappresentiamo  per non rivendicare l'adozione di un regolamento sull'utilizzo delle sale di pertinenza dell'Assemblea Regionale.
Utopia? Non credo, secondo me vale la pena provarci.

sabato 7 dicembre 2013

Un nuovo indirizzo per il blog: www.pippodinatale.it

Dopo qualche settimana di silenzio, torno ad aggiornare questo blog.
Avevo dimenticato di pagare il rinnovo del dominio www.pippodinatale.info ed è stato rimosso.
Chi è causa del suo male pianga se stesso.
La colpa è stata mia, solo mia. La mia disattenzione ha determinato questo inconveniente.
Ritorno di nuovo, però. L'importante è non arrendersi.
Ho acquistato un nuovo dominio, questa volta www.pippodinatale.it e sono nuovamente alla carica.
Vi ringrazio anticipatamente se vorrete ricordarvi del nuovo indirizzo.
www.pippodinatale.it

martedì 19 novembre 2013

Dopo l'alluvione...la gara di solidarietà per la Sardegna. No. Non ci sto!

Le immagini che arrivano dalla Sardegna sono drammatiche. Una pioggia torrenziale e .......le strade si trasformano in fiumi, ponti che crollano, paesi sommersi.
Alla distruzione di cose, si aggiungono il peso e la responsabilità per 16 morti di cui 4 bambini.
Sedici vite umane spezzate, non un per un destino cinico e baro ma perché la natura si è vendicata degli stupri che ogni giorno si commettono contro di essa, avendo la certezza che chi avrebbe il compito di vigilare e salvaguardarla, è voltato dall'altra parte o ha chiuso gli occhi.
Puntualmente, ogni anno, tragedie di questo genere si ripetono. Non esiste regione italiana che ne sia immune.
Così come puntualmente si ripetono le polemiche, il rimpallo delle responsabilità, delle cose che andavano fatte e non si sono fatte. E si continua a morire. 
Così come puntualmente sia apre la corsa alla solidarietà. A dare il "primo aiuto concreto" a cui chiamare i cittadini.
Mi dispiace. Mi dispiace per i fratelli sardi, così duramente provati ma non intendo, questa volta, concorrere.
Sono stanco di supplire alle assenze dello stato, sono stanco di pagare per responsabilità di una classe politica che della tutela dell'ambiente, della difesa del territorio se ne fotte.
Basta guardare alle leggi di bilancio, per capire dove e cosa si è tagliato e comprendere che la tragedia sarda, come tutte le altre potevano essere evitate.
Si sono criminalizzati i forestali, hanno consentito che si costruisse ovunque, senza regole e senza vincoli, per poi piangere i morti innocenti e senza colpa alcuna.
Loro sono i responsabili e io, per spirito di solidarietà,  devo contribuire alla ricostruzione?
No, non ci sto!
Pago le tasse, tutte, fino all'ultimo centesimo. Pago anche il canone della tv,  non mi sento stupido se faccio la fila, sono rispettoso di tutte le leggi e dei regolamenti, anche quelli assurdi. 
Mi piace prendermi in giro ma non accetto che mi si prenda per il culo.
Mi piacerebbe sapere come sono stati spesi i soldi dell'emergenza nordafrica, che fine ha fatto la cricca che festeggiava il terremoto in Abruzzo, come sono stati utilizzati i soldi per il G8 che doveva tenersi sull'isola La Maddalena.
No. Non ci sto.
Non ci sto che definiscano strategica la Tav e militarizzino un territorio, che la Sicilia sia diventata una grande base militare.
Non ci sto che stanzino solo 20 milioni di euro per la Sardegna quando tutti sanno che con i soldi che serviranno per comprare gli F35, la tragedia sarda non sarebbe mai avvenuta.
Alla fine, però, darò il mio contributo, piccolo ma lo darò, nella speranza che sia utilizzato non per arricchire i professionisti dell'emergenza ma per aiutare chi ha perso tutto.
Con la speranza che almeno i morti facciano riflettere.
Ma non ci credo.


Troppe amputazioni in Sicilia. Tra denunce e scoop. I siciliani hanno diritto alla verità.

I giornali online di ieri hanno riportato con grande evidenza l'ultima, in ordine di tempo, denuncia del presidente Crocetta. (Articolo su siciliaweb.it)
Questa volta non si tratta di un abuso nella prescrizione di farmaci o di qualcosa che ha a che fare con le ruberie alle quali negli anni ci siamo abituati.
Stavolta la questione è molto, molto più grave.
Si tratterebbe di un insolito aumento degli interventi chirurgici che prevedono delle amputazioni. 
Sono fornite anche cifre: gli interventi alle gambe nel 2012 in Sicilia, sono risultati quasi il doppio di quelli effettuati in Lombardia: 1.249 contro 720. Ed è bene ricordare che la Lombardia ha quasi il doppio della popolazione siciliana.
Ora, a parte il silenzio sotto il quale questa notizia sta passando, qualche domanda mi piacerebbe porla:
  • Quali indagini l'Assessorato ha intrapreso per appurare i fatti:
  • Quali provvedimenti verranno assunti nel caso la denuncia risultasse fondata;
  • Che cosa hanno da dire gli Ordini dei Medici, che, normalmente, si fanno paladini della difesa della professione medica.
  • Come sia stato possibile che ciò sia accaduto senza che qualcuno se ne accorgesse (manager, personale sanitario ecc.)
La questione è troppo delicata per lasciarla (come del resto Crocetta ci ha abituato) alle enunciazioni giornalistiche.
Se invece la questione dovesse risultare non veritiera sarebbe opportuno che chi l'ha denunciata si assumesse le proprie responsabilità.
Qua è in gioco la nostra salute, è in gioco la nostra dignità, è in gioco la credibilità (o, almeno, quella che rimane del sistema sanitario siciliano.

lunedì 7 ottobre 2013

La povertà è figlia del destino cinico e baro? Dichiariamo illegale la povertà

La società ha fabbricato e continua a fabbricare impoveriti, con maggiore forza ed “efficacia” a partire dagli anni ’70-80. Quali sono i principali fattori strutturali alla base dei processi d’impoverimento?
La produzione degli impoveriti avviene in luoghi e spazi sociali ben definiti anche se diversi a seconda dei paesi, delle regioni e dei tempi. Non vi sono “leggi naturali d’impoverimento”, ma soggetti collettivi (pubblici e privati) e meccanismi di funzionamento. Vi sono cioè “le fabbriche” dell’impoverimento. Esse funzionano – è il caso di dirlo – giorno e notte. I suoi “lavoratori” non scioperano mai. Sono soprattutto “locali” pur essendo prodotti da “fabbriche sempre di più globali”.
La tipologia proposta qui di seguito vale essenzialmente per le società occidentali ed “occidentalizzate”, cioè oramai per una larghissima parte delle società attuali. Si tratta di una tipologia elaborata a partire dalle dinamiche che hanno dato spazio alla non universalità della dignità umana, ai non-diritti ed alla non-cittadinanza.
L’impoverimento avviene attraverso le seguenti fabbriche:
la fabbrica dell’inevitabilità della povertà, alimentata da un immaginario collettivo molto diffuso nel mondo costruito sulla “naturalità” della povertà;
la fabbrica dell’ineguaglianza, che approvvigiona pratiche sociali e collettive quali il buonismo, il paternalismo, il caritatismo assistenziale, la politica dell’aiuto;
la fabbrica dell’esclusione e dell’ingiustizia, ovvero il dominio della triade “capitale, impresa, mercato” che legittimizza l’impoverimento sacralizzando il valore assoluto della ricchezza privata (accumulo del capitale e primato del reddito da capitale);
la fabbrica della predazione della vita il cui motore principale è la finanziarizzazione dell’economia assunto a principio maggiore della regolazione delle relazioni tra gli esseri umani, e tra essi e la natura.
Potete leggere l'ebook che troverete nel link sotto.

venerdì 27 settembre 2013

La scomparsa dell'Italia industriale e i banditi di passo.


Le ultime vicende Telecom hanno richiamato l'attenzione sulla politica industriale nel nostro Paese.
Tutti sembrano caduti dal pero, si interrogano, oggi, come sia stato possibile che una delle nazioni manifatturiere più importante del mondo non ha più una grande industria degna di questo mondo.
Quando scompare l'industria, non scompaiano solo posti di lavoro ma scompare la ricerca, scompare l'opportunità di garantire sviluppo.
Sorprende che a sorprendersi siano soprattutto quelli, che negli anni passati, sostenevano che per sviluppare la nostra industria era necessario che lo stato si ritirasse dalla proprietà e che non era compito dello stato fare impresa.. 
Il mantra era che non si potevano produrre panettoni. (il riferimento era all'azienda alimentare Motta)
Abbiamo privatizzato.......il risultato ora, è sotto gli occhi tutti.
Che classe imprenditoriale abbiamo. 
Definirli "banditi di passo" è dare loro una dignità che non meritano.
Eppure, qualcuno aveva visto bene e ci aveva avvertito, segnalando la deriva del nostro paese.
Si tratta di Luciano Gallino che nel 2003 aveva dato alle stampe un libro dal titolo emblematico: "La scomparsa dell'Italia industriale."
A rileggerlo adesso vengono i brividi, a distanza di 10 anni mantiene la sua drammatica attualità.
Pubblico due documenti:
  1. Sintesi del libro La scomparsa dell'Italia industriale, preparata dal Centro Studi Ires Cgil dell'Abruzzo
  2. Intervista del 2006 a Luciano Gallino, pubblicata sulla rivista della Funzione Pubblica Cgil.

Sono da leggere e da meditare.

domenica 22 settembre 2013

Fondazioni bancarie e terzo settore. Dove finiscono i soldi?

Pochi sanno che le fondazioni bancarie devono destinare parte dei propri utili al finanziamento di attività culturali, filantropiche, di aiuto alle persone. Destinano, quindi, sulla base di un accordo, 1/15 al finanziamento dei Fondi del volontariato.
Risorse, queste, che consentono il funzionamento dei circa 90 Centri di Servizio del Volontariato che, in tutta Italia, erogano servizi per il sostegno di decine e decine di migliaia di associazioni di volontariato le quali, nel silenzio, operano a favore dei più deboli e dei più soli.
Da qualche anno, in presenza della crisi economica, le erogazioni tendono a diminuire, con la conseguenza che si mette in crisi tutto il sistema del volontariato che confida nei servizi prestati dai centri di servizio.  
La questione che oggi si pone è, al contrario, non la diminuzione delle risorse ma il chiedere un incremento di tali stanziamenti.
In presenza, infatti, di un ritiro da parte dello stato dalle politiche di welfare aumentano le sollecitazioni al terzo settore di sostituirsi ad esso.
Quindi, più bisogni, più esigenze e sempre meno risorse. 
Ho trovato, quindi, molto interessante l'articolo pubblicato sul sito La Voce, nel quale con estrema chiarezza viene spiegato che le fondazioni bancarie spendono più soldi per retribuire i loro organi statutari che non per il finanziamento del terzo settore.
Il problema si pone anche nella nostra regione. 
Esiste una sola fondazione Fondazione Sicilia (già fondazione banco di Sicilia), una delle pochissime che non ha erogato alcuna risorsa al terzo settore.
Ora, senza alcuna polemica, mi piacerebbe conoscere con esattezza come negli ultimi 5 anni la Fondazione ha operato per sviluppare il patrimonio dell'Isola, valorizzare i beni culturali, supportare l'educazione, incentivare la ricerca scientifica, stimolare lo sviluppo sostenibile e, non ultimo, promuovere azioni di solidarietà ? (come si legge nel sito)
Ed, inoltre, vorrei sapere quanti sono i dipendenti e quanto costano gli organi statutari.
Mi chiedo se risulta a verità il fatto che per il funzionamento degli organi statutari sono stati spesi 906.641 €, per i consulenti 415.180 € mentre le erogazioni verso il volontariato risultano essere 536.000€ quando nel 2011 sono state pari a 1.989.000 €.
Un'ultima cosa, con quali criteri vengono individuati i soggetti destinatari dei fondi? 
Non è un problema solo di trasparenza, lo ritengo un dovere nei confronti di tutti i siciliani.


giovedì 19 settembre 2013

Ma dove mandiamo i nostri figli?

Pubblico il comunicato stampa di presentazione della ricerca di Cittadinanzattiva sulla sicurezza delle scuole dove mandiamo i nostri figli. Dati drammatici che impongono investimenti e scelte politiche coerenti.
La scuola è il nostro futuro.

Scuole più sicure? Non ci sembra, ma lo chiediamo al Ministero. Senza Anagrafe si rischiano interventi inappropriati e fondi sprecati. E dalle famiglie 390 milioni di euro nell’ultimo anno scolastico. 
Presentato l’XI Rapporto su sicurezza, qualità e accessibilità a scuola

Lesioni strutturali in una scuola su sette, distacchi di intonaco in una su cinque e, nel corso dell’ultimo anno scolastico, ben 29 casi di tragedie sfiorate a causa di crolli di diversa entità nelle scuole. Migliorano i dati sul possesso delle certificazioni, peggiora invece lo stato di manutenzione delle scuole che nel 39% dei casi è del tutto inadeguato, così come la qualità di vita all’interno degli ambienti scolastici, interessati più che in passato, forse anche per via dell’ultima annata particolarmente piovosa, da muffe, infiltrazioni e segni di umidità che colpiscono un’aula su cinque.  E un terzo delle scuole ha subito atti di vandalismo.
Gran parte delle scuole sembrerebbe priva di barriere architettoniche, ma in realtà l’accessibilità si ferma spesso al solo ingresso, oltre troviamo aule in un caso su quattro inaccessibili a studenti in carrozzina e prive di arredi e attrezzature didattiche destinati a loro.
Sempre nell’ultimo anno, dalle famiglie sono arrivati circa 390 milioni di euro, sotto forma di contributo volontario o donazione di materiali e beni, senza i quali la nostra scuola non potrebbe tirare avanti.
Scuole
Alunni/Fam.
70% donatori
Importo med.
TOTALE €
INFANZIA
1.030.364
721.255
50€
36.062.750
PRIMARIA
2.596.915
1.817.841
50€
90.892.050
SECONDARIA 1
1.671.375
1.169.963
70€
81.897.410
SECONDARIA 2
2.580.007
1.806.004
100€
180.600.400
Fonte: Cittadinanzattiva, 2013
389.452.610€
È questa la condizione delle scuole italiane, fotografate dall’XI Rapporto su sicurezza, qualità e comfort degli edifici scolastici, presentato oggi a Roma  e realizzato da Cittadinanzattiva, in collaborazione con la Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare (UILDM). L’Indagine ha interessato 165 scuole di 18 regioni, tutte ad eccezione di Valle D’Aosta e Liguria, ed è stata condotta da 155 cittadini monitori attraverso 446 indicatori.
Pur apprezzando il grande sforzo compiuto dall’attuale Governo con lo stanziamento di fondi (150 milioni subito, 300 nel prossimo triennio), è poca cosa rispetto al reale fabbisogno. Basti pensare che il costo di un edificio scolastico di media dimensioni, antisismico, energetico, a norma costa 5 milioni di euro”, afferma Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale della scuola di Cittadinanzattiva. “E poi basta con l’Anagrafe scolastica eterna incompiuta e fantasma, che invece è’ indispensabile alle istituzioni per una programmazione seria e attendibile sulle scuole da sistemare e su quali priorità investire i fondi del Decreto del Fare, ed è indispensabile alle famiglie per sapere in quali scuole si recano ogni giorno i nostri figli. Per questo siamo ricorsi alla procedura di accesso civico agli atti nei confronti del Ministero dell’Istruzione che, entro 30 giorni, come previsto dal decreto 33/2013 sulla trasparenza dovrà risponderci in merito alla Anagrafe. A tutela soprattutto dei più piccoli e degli studenti con disabilità, penalizzati più degli altri dalle pessime condizioni degli edifici scolastici”.

Le scuole in bianco e nero
Ottengono il miglior punteggio, nella classifica finale di Cittadinanzattiva, a pari merito con un punteggio di 94/100, il Liceo Classico Socrate di Bari e la Scuola dell’Infanzia Don Bronzini di S. Lorenzo in Banale (Trento); in fondo alla graduatoria, invece due scuole di Roma, la Secondaria dell’Istituto comprensivo Piazza Sauli ex Vivaldi e l’Istituto comprensivo Borgoncini Duca - plesso Manetti, con un punteggio di 58/100 (insufficiente) e il Liceo Scientifico di Manciano (Grosseto) con 59/100.
Ma le situazioni sono le più disparate: si va dall’Istituto comprensivo Porto Romano, plesso Coni Zugna, di Fiumicino con presenza di amianto e ancora nessuna azione di bonifica in atto, alla Primaria Dino Liotta di Licata appena ristrutturata, con pannelli solari, aria ionizzata e finestre oscuranti; dall’Istituto comprensivo Galilei di Corsico, vicino Milano, dove da anni le porte sono aperte a genitori, nonni e bambini che si mettono all’opera per ripulire e sistemare la scuola, all’I.C: Don Bosco-Ardito di Lamezia Terme dove invece da anni il dirigente scolastico impedisce alla locale assemblea di Cittadinanzattiva di entrare negli edifici per monitorarne la sicurezza.

sabato 14 settembre 2013

Cile, quando fu sperimentata la ricetta liberista.

Nei giorni scorsi abbiamo ricordato il 40°anniversario del colpo di stato in Cile, che mise fine all'esperienza di Unidad Popolar e della presidenza democratica di Salvador Allende.
Si è scritto e si è discusso tanto su quei tragici fatti, che hanno segnato una generazione. 
Molti storici e commentatori ormai ritengono che la dittatura di Pinochet, non è stata una dittatura militare come le altre che hanno insanguinato l'America Latina nel corso del Novecento. Non è paragonabile alla dittatura dei militari argentini, anche se ci sono stati un migliaio di desaparecidos e la mano pesante della Cia. Non è stata una dittatura "fascista", come è stato spesso scritto, perché gli mancavano tre caratteri fondamentali: il nazionalismo, l'intervento dello Stato nell'economia, le Corporazioni. 
E' stato il primo esperimento, sulla pelle del popolo cileno, del modello di «neoliberismo autoritario» diventato dominante nel nuovo secolo. 
Come è noto, un ruolo importante l'hanno ricoperto i Chicago boys della scuola monetarista di Milton Friedman. Chiamati da Pinochet come consulenti hanno disegnato le linee di politica economia e sociale necessarie per implementare le teorie del caposcuola, Nobel per l'economia nel 1977 , che -come scrisse il Comitato svedese per gli assegnò il premio- è stato un raro esempio di un economista che abbia influenzato la politica almeno quanto l'Accademia. In effetti, la sua produzione scientifica è conosciuta solo dagli addetti ai lavori, e non presenta delle novità sconvolgenti rispetto al pensiero di Marshall e di Stuart Mill, mentre i suoi testi politici -come il best seller "Liberi di scegliere"- hanno avuto un grande impatto sull'opinione pubblica e sul rilancio della destra statunitense prima, e del mondo intero dopo. 
La situazione cilena offriva una condizione ottimale per dimostrare al mondo come il neoliberismo fosse la cura migliore per far uscire dalla crisi un paese come il Cile stremato da anni di recessione economica e di lotte sociali. Grazie all'eliminazione della democrazia si potevano facilmente rompere i vincoli istituzionali, lacci e lacciuoli sindacali, e contenere le rivolte ed il malcontento che inevitabilmente sarebbero scoppiati di fronte alle cure da cavallo del governo Pinochet. I Chicago boys vedevano la dittatura come un utile strumento per riportare velocemente il paese verso la crescita economica, per rilanciare lo sviluppo. A questo fine, venne implementato un programma ambizioso di drastiche privatizzazioni di aziende e beni dello Stato, di riforma del mercato del lavoro che rendeva perfettamente "flessibile" la forza-lavoro, di totale apertura all'estero, sia in termini di import/export che di libera circolazione dei capitali in entrata ed uscita. Gli effetti sociali, culturali, ed economici si manifestarono chiaramente nel corso dei primi anni '80. Una parte maggioritaria della società cilena subì un vistoso processo di impoverimento che colpì i lavoratori (con l'aumento della disoccupazione e con l'abbassamento dei salari), una parte rilevante del ceto medio, soprattutto intellettuale, e le minoranze etniche (i Mapuche) brutalmente espropriate della terra e ghettizzate. La mercatizzazione della società raggiunse livelli parossistici, tragicomici, demenziali. 
Tre esempi. La liberalizzazione delle farmacie e dei prezzi dei farmaci (Bersani le avrebbe chiamate "lenzuolate"?) portò i gestori delle farmacie a offrire -con grande pubblicità- due antibiotici al prezzo di uno, una scatola di aspirina in regalo per chi spendeva un tot... La privatizzazione totale dei trasporti pubblici, comportò che gli autisti dei micro, come si chiamano gli autobus a Santiago, assunti a cottimo sui chilometri effettuati giornalmente divennero il terrore dei pedoni che attraversavano le strade. La possibilità di non indicare più nelle etichette il contenuto di cibi e bevande, in nome della libertà dell'impresa, comportò casi drammatici di intossicazione. 
Ma, ancora più forte fu l'impatto culturale, ideologico, di questa dittatura neoliberista in cui il Mercato era diventato la sola ed unica religione. 
Infine, sul piano economico, è indubbio che, a partire dal 1976, il Pil cominciò a salire annualmente a tassi sostenuti- tra il 6-8 per cento- e questo dato divenne la bandiera di tutta la cultura neoliberista, l'indicatore del successo della scuola di Friedman. Dopo la chiusura delle miniere di rame, di molte fabbriche che vivevano sulla domanda interna, si crearono delle nuove aziende agro esportatrici (soprattutto frutta e vino) che ebbero una corsia preferenziale di ingresso sul mercato nordamericano. I capitali, godendo di totale libertà, arrivarono nel paese per investire nei settori più redditizi (dall'agro- business al turismo) ed il Fondo monetario internazionale aiutò con ingenti prestiti il governo Pinochet, mentre aveva negato qualunque aiuto finanziario al presidente Allende. 
Dopo la caduta di Pinochet il modello neoliberista continuò, con piccoli ritocchi, per molti anni ed è ancora presente nella società cilena, malgrado l'arrivo al governo della socialista Bachelet. Questo fatto non deve stupire, ma ci deve interrogare perché anche noi ci stiamo incamminando sulla stessa strada. 
La crisi economica-finanziaria e la sua gestione hanno prodotto un abbassamento radicale delle aspirazioni, delle aspettative di decine di milioni di persone in Italia, come nella gran parte dei paesi europei. La crisi sta funzionando come ferrea disciplina, nell'accezione di Foucault , per rendere possibile il predominio del mercato capitalistico, per rendere totalmente flessibili i lavoratori, per smantellare definitivamente il welfare ed i diritti sociali conquistati in decenni di lotte. Questa crisi ha funzionato come un surrogato della dittatura che in Cile rese possibile accelerare questi processi e portarli a compimento. Ma, l'impoverimento e la perdita di diritti non è ancora completata, bisogna indebolire la nostra democrazia senza bisogno dei generali, per arrivare magari ad avere quella "crescita" sbanderiata come unico fine della società, unico senso della vita, dal governo delle "larghe intese neoliberiste". 

Dal Manifesto del 10/09/2013 

martedì 10 settembre 2013

Nonostante loro........io firmerò.

Ho molto riflettuto se era il caso di firmare per i referendum proposti dai radicali.
Confesso che il fatto che la firma è stata apposta anche da Silvio Berlusconi mi aveva creato non poche perplessità.
Sarò prevenuto,  trovarmi, però, dalla sua stessa parte è per me fonte di grande imbarazzo.
Poi ho rotto gli indugi. Li firmerò, non tutti, ma  solo quelli riguardanti le libertà civili nel nostro paese, più precisamnente:
  • Per eliminare i tre anni di separazione obbligatoria prima di ottenere il divorzio; 
  • Per abolire l'ergastolo,  superando il concetto di pena come vendetta sociale; 
  • Per abrogare la disposizione che prevede che anche l’8x1000 di chi non esprime alcuna indicazione venga ripartito tra le confessioni religiose. Effetti: la quota relativa alle scelte non espresse (attualmente più del 50% del totale, circa 600 milioni di euro l’anno) rimarrebbe in capo al bilancio generale dello Stato anziché essere ripartita in favore soprattutto (al 90%) della Conferenza episcopale italiana. Non si arrecherebbe alcun danno alle attività caritatevoli, visto che il fondo 8x1000 si è moltiplicato per cinque negli ultimi 20 anni, arrivando alla cifra record di un miliardo e cento milioni di euro l’anno; 
  • Per eliminare quelle norme che riempiono le carceri di consumatori. Vogliamo - essendo impossibile una vera legalizzazione, a causa di convenzioni internazionali stipulate dall’Italia - che sia evitata la pena detentiva per fatti di lieve entità, mentre resterebbe la sanzione penale pecuniaria. 
  • Per abrogare il reato di clandestinità, un reato aberrante che punisce una condizione anziché una condotta; e per eliminare quelle norme che incidono sulla clandestinazzazione e precarizzazione dei lavoratori migranti
  • Lo strumento della custodia cautelare in carcere ha subìto una radicale trasformazione: da istituto con funzione prettamente cautelare, a vera e propria forma anticipatoria della pena con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. Con questo referendum si intende quindi limitare la possibilità di ricorrere al carcere prima di una sentenza definitiva.
Sugli altri e in particolare quelli sulla magistratura voglio pensarci ancora un poco.
Un'ultima cosa, pensateci anche voi.
 

domenica 8 settembre 2013

Il Papa, i Generali, l'Argentina e l'appello per la pace.


Sono molti coloro che hanno espresso perplessità sul comportamento di papa Bergoglio durante la tragica dittatura dei generali argentini.
Ci si è interrogati sulla eventuale coerenza tra l'appello per la pace (che ha portato più di 100.000 persone in Piazza San Pietro) e la mancata denuncia, quando non connivenza, con la dittatura.
A tal proposito si fa riferimento ad alcuni libri-inchiesta editati dopo la dittatura.
Va sottolineato che la gerarchia ecclesiastica, a partire dal Nunzio apostolico, Pio Laghi, figura molto controversa, di cui si discute ancora, si schierò apertamente con i generali, ritenendo che essi avevano ricevuto il mandato di "bonificare" la società argentina da quelli che erano considerati comunisti e sovversivi. 
Io non ho elementi per esprimere giudizi sul ruolo esercitato all'epoca dall'attuale papa.
Valuto, però,  quello che accade oggi, e cioè che Papa Francesco dall'alto del suo magistero ha rappresentato e rappresenta una delle poche voci che ci invita a riflettere su quanto si sta preparando al nostro orizzonte: distruzioni, morti innocenti immolati sull'altare della democrazia e della difesa dei diritti umani.
Democrazia e difesa dei diritti umani dei quali si fanno garanti quelle "democrazie" che mai alzarono la voce per condannare il genocidio argentino.
Penso, che, oggi, sia più importante riflettere su questo. 

mercoledì 4 settembre 2013

Grecia e gli alimenti scaduti: una lezione per noi tutti?


Mi ha molto colpito la notizia che il governo greco, al fine di incrementare il commercio al dettaglio, ha autorizzato i negozianti a porre in vendita anche generi alimentari scaduti.
Ora, i giornali tengono a chiarire, che il permesso non riguarda tutti i generi ma solo quelli, la cui commestibilitá e l'assenza di rischi per la salute é garantita, anche oltre il termine indicato sulla confezione.
Condizione posta é che i prodotti in vendita abbiano un costo inferiore rispetto agli altri.
E' anche un modo, si sottolinea,  per aiutare i cittadini in difficoltà.
La notizia é interessante perché si presta ad alcune considerazioni  di carattere generale che valgono anche nel nostro paese. 
  • Perché, se il consumo oltre il termine indicato non è nocivo per la salute non viene indicata una scadenza più lunga?
  • Avremo gli scaffali per i poveri?
Un'ultima considerazione, sono molte le associazioni di volontariato che raccolgono cibi in via di scadenza  ravvicinata, per darli ai più bisognosi o per sostenere le mense per gli indigenti (sempre più numerosi).
Non è che questa scelta farà si che quello che al momento viene regalato poi dovrà essere acquistato?
 

    La narrazione e i fatti. Il governo Meloni fa scuola

    NARRAZIONE: “si introduce un esonero dal versamento del 100 per cento dei contributi previdenziali ed assicurativi a carico del datore di la...