giovedì 28 marzo 2013

Contro riforme di Ugo Mattei


Non voglio apparire presuntuoso ma ho finito di leggere il libro del prof.Ugo Matttei, l'ho trovato ricchissimo di spunti di riflessione, che mi piacerebbe condividere.
Per tale ragione trascrivo le prime pagine del libro. Se le ritenete interessanti, acquistate il libro e leggetelo, in caso contrario, spero di non avervi fatto perdere del tempo.
Buona lettura.


Una decina d’anni fa, fui invitato in gran pompa a Washington DC presso la sede della Banca Mondiale per dare il mio apporto di giurista a un «brainstorming» di economisti e scienziati della politica volto alla produzione di un documento, il World Development Report, che anche quell’anno la Banca doveva redigere a uso delle élite dei cosiddetti «Paesi in via di sviluppo». Questi documenti presentano linee guida di «politica tecnica» (in inglese la locuzione intraducibile è policy, concetto  diverso da quello di politics) che i Paesi «in via di sviluppo» devono adottare in modo bipartisan, quale che sia il colore politico  dei loro governi,  per otttenere i finanziamenti e i prestiti della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale. Si tratta della piu genuina manifestazione istituzionale del cosiddetto Washington Consensus, l’ideologia che, almeno   fino alla crisi del 2008, godette egemonia planetaria e che oggi, in crisi di consenso, si manifesta  con il pugno di ferro tramite  la sospensione «tecnica» della vita politica. Quell’anno il rapporto era niente di meno che sul tema generale delle «istituzioni» e con gli illustri colleghi angloamericani ivi raccolti, diversi dei quali insigniti di premio  Nobel,  dovevamo  tracciare  in poche centinaia  di pagine un sistema istituzionale «efficiente». Tale sistema, poi effettivamente pubblicato nel World Development Report del 2004, era una semplice guida a riforme la cui desiderabilità era condivisa (il Consensus appunto),  che governi  di tutto  il mondo, nelle situazioni politiche e culturali piu diverse, dall’Africa  all’Asia all’America Latina,  avrebbero dovuto necessariamente cercare di realizzare.  Soltanto i governi  che cosi facendo  si fossero dimostrati virtuosi, avrebbero potuto accedere ai fondi indispensabili per uscire dalla propria drammatica  situazione di povertà  materiale e proseguire sulla strada  dello «sviluppo».  Tralasciando  per ora i contenuti specifici, in gran parte identici a quelli che nell’agosto del 2011 una lettera congiunta  dei presidenti uscente  ed entrante della Banca centrale europea (Trichet e Draghi) impose all’Italia, ciò che mi colpi fu la totale condivisione tra gli economisti ivi presenti  del fatto  che un unico assetto  istituzionale, proprio  come una qualsiasi  tecnologia, potesse essere  tranquillamente progettato a tavolino  a uso di tutto il mondo, indipendentemente da qualsiasi peculiarità  dei contesti di ricezione.  Una volta progettato, tale schema poteva  essere realizzato tramite  riforme fondate  su un solo imperativo categorico: quello di stimolare  o imporre,  attraverso la strutturazione di istituzioni efficienti, comportamenti sociali virtuosi in quanto competitivi, economicamente produttivi e quindi capaci di attrarre investimenti e ridurre i costi. Mi fu ancor piu chiaro allora il potere politico immenso  di quell’ideologia  «efficientistica» che dai primi anni Ottanta era divenuta pensiero unico nei principali dipartimenti di economia,  diritto e scienza politica, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il resto del mondo. Qualche anno piu tardi,  ebbi la ventura  di vedere da vicino, seguendo le riprese di un film documenta­ rio, l’impatto devastante sul piano sociale e culturale di quelle riforme in parte realizzate nel Mali, un Paese africano poverissimo di mezzi materiali  ma ricchissimo di cultura  anche istituzionale, considerato allora uno dei migliori «allievi»  della Banca Mondiale.  Dìvenne sempre piu chiaro ai miei occhi che il riformismo neoliberale era molto piu di una semplice operazione tecnica per riformare istituzioni obsolete o malfunzionanti. Esso costituiva la vera e propria forma giuridica del capitalismo dopo la caduta del muro di Berlino, la retorica di una nuova grande  trasformazione sovversiva dell’ordine sociale e del modello di società che si era affermato, pur fra immani tragedie, nel Novecento. Il Mali, Paese povero di mezzi ma ricco di cultura, fu spinto  ad abbandonare la seconda in cambio della promessa di un po’ di benessere materiale, che sarebbe «sgocciolato in giù» qualora i grandi colossi dell’agrobusiness, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’industria energetica, cosmetica, farmaceutica e mineraria fossero stati lasciati liberi,  e anzi incoraggiati  tramite apposite riforme istituzionali, di arricchirsi nel Paese. Fu allora che incominciai a interrogarmi sul senso della locuzione «riformismo» cominciando  a guardare  a quanto  stava avvenendo nel nostro Paese alla luce di due esperienze  apparentemente lontanissime, al centro e in periferia,  che mi avevano portato  a contatto con la forza ideologica dell’universalismo riformista.

sabato 23 marzo 2013

Riflessioni a un mese dalle elezioni

Non sappiamo a cosa approderà il tentativo esplorativo, affidato dal Presidente Napolitano al segretario del Pd, Pierluigi Bersani.
A lui, il compito arduo di trovare una maggioranza stabile per un Governo che garantisca interventi per il lavoro e la coesione sociale ad un Paese, l'Italia, ancora nel pieno di una crisi economica e sociale, dalla quale non si intravede la fine.
Un tentativo che dovrà mettere insieme tanti diversi che, per ovvie ragioni, proveranno a rendere impossibile la missione a lui affidata.
Si può a lungo disquisire ma resta il fatto che la "mission impossible" è dovuta alla scelta scellerata voluta a suo tempo dal Governo Berlusconi, di modificare la legge elettorale.
E' il famoso "porcellum".
A leggere attentamente con un pizzico di obbiettività i risultati usciti dalle urne e i seggi assegnati alle divcerse coalizioni, ci si rende conto che la democrazia, di cui tanto si parla, è un lontano ricordo.
Alla Camera dei Deputati il Pd ha ottenuto solo circa 125.000 voti in più del Pdl ma 216 seggi in più.
A Senato la differenza tra le due coalizioni è di 280.577 voti a favore del Pd, che ottiene tre senatori in meno, 113 contro i 116 del Pdl.
Altri dati indicano in maniera più precisa quanto sopra.
Il Centro Democratico con 167.000 voti porta a casa 6 deputati a fronte di nessuno per Rivoluzione Civile che di voti ne ha ottenuto 765.000. 
Per me, che appartengo a una generazione che si attarda a ritenere di fondamentale importanza in una democrazia il rispetto della volontà popolare, non esistono spiegazioni plausibili che giustifichino questo sistema elettorale, che non ha uguali in nessun paese al mondo.
Se Bersani dovesse fallire nella sua impresa, il Paese non può permettersi il lusso di tornare a votare con questo sistema che ha provocato già danni enormi.
Sarò impopolare ma credo che questa rappresenti la priorità del Parlamento.


domenica 17 marzo 2013

Il Rapporto 2013 di EuroMemorandum, un ebook di Sbilanciamoci

L’EuroMemo Group, autore del Rapporto, fornisce da tempo analisi della situazione e dell’evoluzione dell’economia europea, accompagnandole con proposte che contestano l’orientamento mainstream degli organismi europei e internazionali che tanto ha condizionato e condiziona tuttora la dinamica della società europea. Nel Rapporto di quest’anno un punto nodale è individuato nelle differenze economiche strutturali esistenti fra i paesi dell’Unione, in particolare fra quelli dell’euro-zona, differenze che, lungi dall’essersi riassorbite nei dieci e più anni di moneta unica, si sono accresciute e ora inasprite con la crisi. è una situazione che ci riguarda direttamente, alla stregua degli altri paesi della periferia mediterranea e di quella dell’Europa orientale e baltica, e che impone giocoforza una diversa presenza a livello europeo a qualsiasi governo che voglia sostenere occupazione e salari, garantire livelli più diffusi di benessere, avviare un new deal verde, affrontare le necessarie trasformazioni infrastrutturali (burocrazia, corruzione, criminalità, ricerca e istruzione); insomma, che voglia avviare una politica di medio periodo in grado di dare una prospettiva socialmente sostenibile al nostro apparato produttivo richiede. Una presenza che non sia solo per farci dire cosa dobbiamo fare, ma per dire noi cosa l’Europa dovrebbe fare.
Non vi è solo un’ampia condivisione delle linee di politica economica sostenute dal Rapporto, ma, in presenza di una crisi che si sta avvitando su sé stessa tanto da rinviare sempre più lontano nel tempo la stabilizzazione della situazione, si condivide anche l’urgenza che vengano modificati obiettivi e strumenti della politica economica europea fortemente ancorati a una visione che fa dell’austerità il suo punto cardinale.
In un contesto finanziario solo momentaneamente stabilizzato, è importante l’impegno del governo italiano di sostenere la costruzione di istituzioni a livello europeo atte a contenere le pressioni speculative della finanza; vanno rafforzate le istituzioni introdotte faticosamente nell’ultimo anno per mettere al riparo le finanze pubbliche e le banche da possibili futuri shock esterni. In questa direzione, va sostenuta la mutualizzazione dei debiti pubblici in un contesto di fiducia e di controllo reciproco sui comportamenti dei singoli membri, così come va attentamente monitorata la situazione delle banche favorendo tutte quelle iniziative che possono ridurre il contenuto speculativo ad alto rischio della loro attività. Va adeguatamente implementata la decisione di adottare una tassazione sui flussi finanziari, possibilmente allargata e potenziata nei confronti delle transazioni con i paesi che non la adottano. Particolare attenzione richiede l’impegno di minimizzare i costi pubblici di eventuali ulteriori salvataggi bancari; la penalizzazione delle operazioni più speculative dovrebbe peraltro favorire l’apporto che le banche possono dare al finanziamento delle imprese produttive. Su tutti questi punti vi è stata, per quanto dilatata, un’elaborazione non irrilevante che richiede una presenza fortemente orientata all’interesse generale per evitare che le soluzioni adottate non siano a favore degli interessi di pochi ma forti.
Altro snodo importante per mettere al riparo i debiti pubblici dei paesi (deboli) europei dalle pressioni speculative di breve periodo e avviare il risanamento finanziario degli stessi è l’adozione di iniziative tese a contrastare le forme di concorrenza fiscale presenti sia all’interno che all’esterno all’area. L’esistenza di paradisi fiscali o di analoghe legislazioni di elusione fiscale vanno contrastate per evitare che i redditi da capitale, per loro natura molto mobili, non siano favoriti rispetto agli altri redditi in modo che il loro migrare non produca “buchi” nei conti pubblici con inevitabili difficoltà a perseguire gli obiettivi di trasformazione dell’attività produttiva e di consolidamento del welfare essenziale al benessere collettivo.
Una revisione dell’accordo sul Fiscal Compact è certamente il punto cruciale; esso deve essere consensualmente reinterpretato in maniera da allentare la stretta recessiva che sta esercitando sull’intera economia europea. Ciò non significa sostenere forme di indisciplina finanziaria, ma individuare – come è ovvio interesse di un governo che ha a cuore il progresso civile di una società – tutte le modalità atte a ridimensionare gli oneri finanziari a carico del bilancio pubblico che, rappresentando remunerazione di banche e rentier, vanno a scapito delle politiche sociali. Un allentamento dei vincoli del Patto in grado di favorire una ripresa della produzione e dell’occupazione va perseguito anche per sopravvivenza della stessa classe politica poiché il protrarsi di un vincolo finanziario troppo stringente, impendendole di affrontare i bisogni sociali, ne decreta il fallimento favorendo, e gli esempi non mancano, le spinte populiste e conservatrici. Va inoltre contrastato l’uso terroristico fatto dalle forze conservatrici che, per giustificare la continuità con le attuali politiche di austerità, sostengono l’esigenza di ridurre il volume del debito pubblico quando il vero problema e ridurre il suo peso rispetto al Pil e ciò può essere raggiunto, con il più ampio benessere generale, da un’espansione della produzione e dell’occupazione.

venerdì 8 marzo 2013

8 marzo. Mettiamoci la faccia.


Sulla scelta dell’ 8 Marzo come ricorrenza, le opinioni divergono. La tradizione socialista afferma che la scelta fu fatta per richiamare il grande sciopero dell’8 Marzo del 1848,quando le lavoratrici dell’industria dell’abbigliamento di New York proclamarono uno sciopero cui parteciparono trentamila donne: la più gigantesca manifestazione femminile che si fosse mai avuta negli Stati Uniti. Le scioperanti reclamavano il rispetto dei loro diritti politici e sociali: diritto al voto, riduzione dell’orario di lavoro, dalle 12 alle 8 ore, il riposo settimanale, un regolare contratto e una retribuzione rispondenti agli accordi sindacali.
Oggi, tuttavia, si è affermata la versione delle operaie bruciate nel rogo della loro fabbrica. Questa leggenda ha origin i recenti. Il 7 Marzo 1952, il settimanale bolognese La Lotta, scrive che la data della Giornata della Donna vuol ricordare l’incendio scoppiato in una fabbrica tessile di New York l’8 Marzo del 1929, in cui sarebbero morte, chiuse dentro dall’interno per volere del padrone, perché minacciavano di scioperare, 129 giovani operaie per gran parte di origine italiana ed ebraica.
Il tema dell’incendio e delle operaie arse vive nel rogo del loro posto dilavoro venne ripreso con alcune varianti. Nel 1978, il Secolo XIX diGenova riporta l’episodio come avvenuto a Chicago in una filanda. Nel 1980, La Repubblica parla di un incendio a Boston, datato 1898. Nel 1981, Stampa Sera situa l’incendio ai primi del ‘900, in un luogo imprecisato degli Stati Uniti, le operaie vittime sarebbero state 146. Lo stesso anno, L’Avvenire parla di 19 operaie morte. Nel 1982, Noi Donne parla di Boston, l’anno sarebbe il 1908 e le operaie morte 19. Unanuova descrizione della tragedia l’ha fornita di recente il sito della Città di Bari. Secondo questa versione, la festa sarebbe nata dall’incendio, scoppiato il pomeriggio del 25 Marzo 1911, negli ultimi tre piani dell’Asch Building, un edificio di dieci piani a Manhattan. Quando il rogo fu domato si sarebbero contate 146 vittime. New York sarebbe rimasta sconvolta da quella tragedia. Al funerale, 120 mila lavoratori avrebbero accompagnato il funerale fino al cimitero di Evergreen, dove le sfortunate vennero sepolte, e non meno di 400 mila persone assistettero al corteo. Il processo per stabilire le responsabilità dei proprietari della Triangle, iniziato il 4 Dicembre del 1911, si sarebbe concluso appena qualche giorno dopo con una sentenza di assoluzione. Oltre a ciò la proprietà dell’azienda ricevette dalle compagnie di assicurazione un cospicuo risarcimento. Per alcuni, l’incendio risalirebbe, invece, a un 8 Marzo di fine ottocento, in una fabbrica tessile d’Inghilterra. Per un’altra interpretazione, la data sarebbe da ricercare nell’inverno del 1917. Così L’Ordine Nuovo, quotidiano gramsciano di Torino, del 17 Marzo 1921: «Al grido di pace e pane, le operaie di Pietrogrado con la bandiera rossasono scese nelle strade l’8 Marzo [24 Febbraio per il calendario russo] per festeggiare la giornata internazionale del proletariato femminile. Fu questo il grande segnale dellarivoluzione che distrusse l’autocrazia...»
È probabile che tutte queste versioni siano frutto della fantasia. Infatti, sia nel libro della canadese Renée Còté, Verità storica della misteriosa origine dell’8 Marzo, che il quello di Tilde Capomazza e Marisa Ombra, 8 marzo, storie, miti e riti della Giornata Internazionale della Donna, nessun incendio risulta mai accaduto. 
Alla fine, non ha importanza il perchè ma il come viviamo una giornata carica di simbolismo, che vuole riordare che l'umanità è composta da donne e uomini con pari diritti e pari dignità.

La narrazione e i fatti. Il governo Meloni fa scuola

NARRAZIONE: “si introduce un esonero dal versamento del 100 per cento dei contributi previdenziali ed assicurativi a carico del datore di la...