Dopo Il lavoro in Italia, ecco un nuovo “sbilibro”: Il lavoro in Europa,
in collaborazione con l’Etui, l’Istituto sindacale europeo. 14 saggi
che spiegano il sistema che ci ha portato alla crisi e le politiche per
rilanciare l’occupazione, in alternative all’ortodossia neoliberista. Lo
presentano i curatori dell’edizione italiana
Vista dalla “vecchia Europa”, la crisi che ha
investito il sistema economico mondiale appare più drammatica che
altrove. Secondo l’ultimo rapporto dell’Oil, l’Organizzazione
internazionale del lavoro, nel mondo sono quasi 50 milioni i posti di
lavoro ancora da recuperare dall’inizio della crisi. È in Europa però
che si conta il saldo peggiore. Eurostat stima in quasi 25 milioni le
persone in cerca di occupazione nello scorso mese di marzo. È in aumento
la disoccupazione di lungo periodo, quella di chi non trova lavoro da
almeno un anno e aumenta drasticamente la disoccupazione giovanile, che
tocca punte del 50% in Spagna e in Grecia. A ben vedere, almeno per ora,
è il Sud dell’Europa a essere nei guai: non vanno così male i paesi
nordici e i paesi del “modello renano”, con tassi di disoccupazione ben
al di sotto della media europea. Ancor più drammatica, forse, è la
mancanza di una visione di lungo termine, l’incapacità da parte della
classe dirigente europea di abbandonare definitivamente i sentieri
dell’ortodossia neoliberista, benché abbiano mostrato di non saperci
portare lontano. Trovare altre vie, tracciare altri percorsi, elaborare e
adottare nuovi paradigmi è l’impegno più urgente che l’Europa si trovi
ad affrontare. Di fronte a trasformazioni epocali, che hanno
riconfigurato lo spazio politico, i criteri della cittadinanza, il
funzionamento economico, le stesse aspettative di vita dei cittadini,
non possiamo continuare a esplorare un territorio sconosciuto con
l’aiuto delle vecchie mappe, disegnate in tempi diversi e in risposta a
bisogni differenti.
Nel 2011 non ci sono stati segnali di
ripresa, eppure l’Europa arranca, senza una strategia comune di
rilancio, né uno straccio di coordinamento per la crescita. Le
strategie politiche dell’Europa sembrano puntare tutto sull’austerità,
sul taglio dei bilanci pubblici e sulle riforme strutturali, una su
tutte, quella sul lavoro. Ricette prevedibili, e prevedibilmente
recessive. Inutili, e in molti casi dannose. Ci ricorda l’Oil che fra il
2008 e il 2012 la maggior parte delle economie europee ha riformato la
propria disciplina del lavoro, rilassando le regole e abbassando spesso
le protezioni sociali (19 paesi sui 27 paesi dell’Europa). Non serve
ricordare, come fa il rapporto dell’Oil, che la relazione causale fra
deregolamentazione dei mercati e crescita dell’occupazione è quantomeno
debole e che semmai può essere vero l’opposto, e cioè che una
regolamentazione adeguata crea le condizioni per la crescita
dell’occupazione.
Non ci si può sorprendere se le aspettative di
crescita siano basse. Le stime più ottimistiche ci dicono che ci
vorranno almeno 4 anni prima di recuperare i posti di lavoro andati
perduti. Nel frattempo, il divario fra Nord e Sud d’Europa è destinato
ad aumentare. A meno che non ci sia un’inversione di tendenza, che
potrebbe arrivare da un rinnovato protagonismo di quelle forze politiche
progressiste rimaste fin qui afone, subalterne alle strategie suggerite
dall’asse Merkel-Sarkozy. Ma senza un rilancio della domanda e un
disegno complessivo capace di mettere in moto quel piano di investimenti
di cui l’Europa avrebbe bisogno, appare difficile aspettarsi una
ripresa.
All’opposto, la perdita di posti di lavoro, la riduzione
delle protezioni sociali e i dati della disuguaglianza sono lì a
mostrarci i segni di una crisi profonda. Una deriva iniziata molto prima
della crisi, con il disfacimento di una società che si era costruita
con fatica integrando le classi più svantaggiate e accrescendo il
perimetro dei diritti. Quella fase di inclusione si è ora arrestata. E a
essa si accompagna una nuova e altrettanto feroce fase di esclusione.
Il sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos parla di un doppio
movimento. Se la storia della modernità occidentale negli ultimi
trecento anni può essere vista come una continua battaglia per
l’inclusione nel contratto sociale, a partire dagli anni Ottanta del
secolo scorso (contestualmente all’affermazione del neoliberismo) si è
innescato un opposto movimento di esclusione: quelli che erano già
entrati a far parte del contratto sociale ne vengono esclusi, mentre i
loro figli sanno che non ne faranno mai parte. La perdita di milioni di
posti di lavoro e la riduzione dei diritti cui stiamo assistendo non
rappresentano soltanto un sintomo della crisi, dunque, ma segnalano un
cambiamento più ampio, un nuovo processo di esclusione. Il primo passo
per contestare questa deriva è mettere in discussione il modello
neoliberista. Ed elaborare scenari alternativi praticabili.
È da
anni ormai che l’Istituto sindacale europeo, centro di ricerca della
Confederazione sindacale europea, cerca di contrapporre un’alternativa
credibile al fallimento delle politiche neoliberiste degli ultimi
trent’anni. L’abbiamo visto con il volume Dopo la crisi: proposte per un’economia sostenibile,
che l’Istituto ha pubblicato nel 2010 e di cui Sbilanciamoci ha curato
l’edizione italiana, con interventi di economisti italiani e
internazionali. Con Exiting from the crisis: towards a model of more equitable and sustainable growth,
trenta autori, al centro del movimento del lavoro in Europa e nel
mondo, ci spiegano come sia possibile definire i parametri di un nuovo
modello di crescita, che metta al centro il lavoro e garantisca una
ripresa equa e sostenibile, e che allo stesso tempo tenga conto delle
contraddizioni della crescita infinita in un pianeta dalle risorse
limitate. La maggior parte dei testi di questo volume sono raccolti
nell’edizione italiana, di cui Sbilanciamoci ha curato la traduzione. La
versione italiana è suddivisa in due parti. Nella prima, la critica al
fondamentalismo del mercato è il punto di partenza per la definizione di
un nuovo orientamento di politica macroeconomica, centrato sulla
cooperazione internazionale fra i paesi. Nella seconda, al centro è il
lavoro, le sfide della globalizzazione, l’ascesa del precariato,
l’erosione dei diritti e il tentativo di ricostruire una società che
promuova un lavoro dignitoso. Perché riequilibrare il lavoro, fra chi ne
ha molto e chi ne ha poco, fra lavoro creativo e lavoro manuale, è una
sfida che dobbiamo saper porci. Come ci ricordano John Evans e Joseph
Stiglitz nella prefazione a questo volume, l’austerità non può essere la
soluzione ai problemi posti dalla crisi. Occorre spingersi verso un
nuovo modello di crescita, più equo e più sostenibile.
Questo nuovo ebook segue di qualche settimana la pubblicazione dello sbilibro su Il lavoro in Italia,
uscito il 18 maggio scorso. Anche in quel lavoro si mostrava la
necessità far uscire l’Italia da un presente fatto di precarietà e
disuguaglianze attraverso politiche inclusive, molto lontane dalle
ricette care all’ortodossia liberista. Mai come oggi, però, il destino
dell’Italia è legato a doppio filo con quello dell’Europa. Perché una
politica del lavoro che sia davvero inclusiva e che punti all’equità non
può prescindere da un rilancio del sistema di diritti e di tutela del
lavoro in Europa e nel mondo.
Dal sito www.sbilanciamoci.info
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