Una conversazione radiofonica tra Keynes e Sir Josiah Stamp sulla spesa pubblica. Il dialogo trasmesso dalla BBC il 4 gennaio 1933. Sono passati 80 anni ma questa intervista risulta di straordinaria attualità e dimostra come le idee sbagliate siano così dure a morire.
Keynes, adottando l’approccio macroeconomico, smonta una per
una le tesi del partito dell’austerità, in particolare quella per cui lo
Stato deve risparmiare (come farebbe una famiglia) per ripagare i
propri debiti, ma anche l’idea tipicamente neoclassica che dalla crisi
si possa uscire grazie all’azione individuale nel libero mercato. Se
qualcuno se lo chiedesse, nell’anno in cui Keynes rilasciava questa
intervista il debito pubblico britannico sfiorava il 180% sul Pil. Il
testo è stato pubblicato da Manifestolibri (1996).
Stamp: … leggiamo continuamente sui giornali,
credo restando noi stessi confusi, tutte queste controversie sullo
spendere e sul risparmiare. A che conclusioni pensi che il pubblico sia
giunto in merito? Ritieni che tutte queste discussioni abbiano fatto
emergere dei punti particolari, rendendoli chiari, o è tutto così
confuso come all’inizio?
Keynes: La mia impressione è che l’umore della gente
stia cambiando. C’era un bel po’ di panico circa un anno fa. Ma non è
forse vero che ora ci si sta rendendo conto abbastanza generalmente che
la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo? Comunque, questa mi
sembra essere la verità fondamentale, che non deve mai essere
dimenticata. Ogni volta che qualcuno taglia la sua spesa, sia come
individuo, sia come Consiglio Comunale o come Ministero, il mattino
successivo sicuramente qualcuno troverà il suo reddito decurtato; e
questa non è la fine della storia. Chi si sveglia scoprendo che il suo
reddito è stato decurtato o di essere stato licenziato in conseguenza di
quel particolare risparmio, è costretto a sua volta a tagliare la sua
spesa, che lo voglia o meno.
S.: Ciò significa che egli riduce il reddito di un secondo uomo, e che qualcun altro rimarrà senza lavoro.
K.: Sì, questo è il guaio. Una volta che la caduta è iniziata, è difficilissimo fermarla.
S.: Un momento. Osserviamo il risparmio di un
Ministero o di un individuo, e consideriamo il suo effetto. Un paese o
una città, proprio come un individuo, debbono vivere nei limiti delle
loro risorse o si troverebbero in grave difficoltà se provassero a
spingersi oltre. Molto presto intaccherebbero il loro patrimonio.
K.: Ci può essere solo un obiettivo nel risparmiare,
ed è esattamente quello di sostituire una spesa con un altro e più
saggio tipo di spesa.
S.: Sostituire! Questo mi fa comprendere il
punto. Ad esempio, se il Governo o le autorità locali risparmiassero per
ridurre le imposte o i saggi di interesse e permettessero agli
individui di spendere di più; o se gli individui spendessero meno in
consumi, per usare essi stessi il denaro nella costruzione di case o di
fabbriche, o per prestarlo ad altri a tale scopo. Non servirebbe tutto
ciò ad aggiustare le cose?
K.: Ma, caro Stamp, è questo che sta accadendo? Ho
il sospetto che le autorità spesso risparmino senza ridurre i tassi di
interesse o le imposte, e senza passare il potere di acquisto aggiuntivo
agli individui. Ma anche quando il singolo riceve il potere di acquisto
aggiuntivo, di solito sceglie la sicurezza o, quanto meno, pensa che
sia virtuoso risparmiare e non spendere. Ma non sono veramente questi
risparmi, tesi a far abbassare i saggi e le imposte, che sono al centro
delle mie polemiche. Sono piuttosto quelle forme di risparmio che
comportano un taglio della spesa, nei casi in cui quest’ultima dovrebbe
essere naturalmente coperta con il debito. Perché in questi casi non c’è
alcun vantaggio connesso col fatto che il contribuente avrà di più, a
compensare la perdita di reddito dell’individuo che subisce il taglio.
S.: Allora, ciò che intendiamo realmente è che,
salvo il caso in cui la mancata spesa pubblica venga bilanciata da una
spesa personale aggiuntiva, ci sarà troppo risparmio. Dopo tutto, il
normale risparmio è solo un differente tipo di spesa, trasmessa a
qualche autorità pubblica o alle imprese, per produrre mattoni o
macchinari. Il risparmio equivale a più mattoni, la spesa a più scarpe.
K.: Sì, questo è il problema in generale. A meno che
qualcuno stia effettivamente usando il risparmio per i mattoni o per
qualcosa di simile, le risorse produttive del paese vengono sprecate.
Insomma il risparmio non è più un altro tipo di spesa. Ecco perché dico
che la deliberata riduzione di investimenti utili, che dovrebbero
normalmente essere attuati con il debito, mi sembra, nelle attuali
circostanze, una follia e, addirittura, una politica oltraggiosa.
S.: La difficoltà sta nell’individuare ciò che tu chiami «investimenti utili normali».
K.: Al contrario. Il Ministro della Sanità, se sono
ben informato, sta disapprovando praticamente tutte le normali richieste
delle autorità locali di indebitarsi. Ho letto, per esempio, in un
giornale – anche se non posso garantire i dati di persona – che un
questionario spedito al Consiglio Nazionale delle Imprese Edili mostra
che qualcosa come 30 milioni di sterline in lavori pubblici sono stati
sospesi come risultato della campagna nazionale per il risparmio. La si
dovrebbe chiamare «campagna nazionale per l’intensificazione della
disoccupazione»!
S.: Per quale ragione si sono spinti fino a questo punto? Perché stanno facendo questo?
K.: Non posso immaginarlo. È probabilmente l’eredità
di qualche decisione presa in un momento di panico molti mesi fa, che
qualcuno ha dimenticato di invertire. Pensa a quello che significherebbe
per lo stato d’animo della nazione, e in termini umani, se avessimo
anche solo un quarto di milione di occupati in più. E non sono sicuro
che le ripercussioni della spesa si fermerebbero a quella cifra.
S.: Sono piuttosto suscettibile per quanto
riguarda gli interventi governativi. Comunque, prendersela con un
Ministero, che lo meriti o no, è una cosa completamente diversa
dall’incitare gli individui a spendere di più. Anche se una
sollecitazione a questi ultimi potrebbe sembrare una cosa sciocca e
pericolosa; sciocca a causa della riduzione dei loro redditi, che
potrebbe rendere una spesa superiore insopportabile; pericolosa perché,
se si inizia con l’incoraggiare le persone a essere imprudenti e a
rinunciare alle loro abitudini di frugalità, non si sa dove si va a
finire.
K.: Sono pienamente d’accordo. Non è l’individuo il
responsabile, e non è quindi ragionevole attendersi che il rimedio venga
dall’azione individuale. Ecco perché pongo così tanto l’accento
sull’intervento delle pubbliche autorità. Sono loro che debbono avviare
il processo. Non ci si deve aspettare che gli individui spendano di più,
quando alcuni di loro stanno già indebitandosi. Non ci si può aspettare
che gli imprenditori procedano a degli investimenti aggiuntivi, quando
stanno già subendo perdite. È la comunità organizzata che deve trovare
modi saggi per spendere e avviare il processo.
S.: Voglio affrontare la questione anche
dall’altro lato. Al fine di conservare l’abitudine individuale alla
parsimonia, non è necessario che le pubbliche autorità sentano la loro
responsabilità in questa direzione? Se questa abitudine, così utile
nella vita individuale, deve recare giovamento alla comunità, è
essenziale che si trovino modi utili di usare il denaro risparmiato.
K.: Sì, questo è ciò che dico. E inoltre, quello
della diminuzione dell’attività, e quindi del reddito nazionale, non è
un modo incredibilmente miope in cui cercare di pareggiare il bilancio?
S.: Bene, lasciando da parte qualsiasi questione
complessa riguardante il debito nazionale, mi sembra che tutto questo
riguardi comunque il Ministro delle Finanze in due modi. Innanzi tutto,
deve far fronte alle indennità di disoccupazione per gli uomini
licenziati, e poi deve tener conto che il gettito delle imposte dipende
dal reddito degli individui o dalle loro spese. Cosicché tutto ciò che
riduce sia il reddito che le spese degli individui riduce il gettito
delle imposte. E se si subisce una diminuzione dal lato delle entrate e
un incremento dal lato delle uscite, si deve trovare un rimedio. Un
bilancio squilibrato distrugge infatti il nostro credito, anche se c’è
una differenza tra un periodo normale e uno anomalo.
K.: Ma Stamp, non si potrà mai equilibrare il
bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il
Ministro delle Finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa
coda. La sola speranza di equilibrare il bilancio nel lungo periodo sta
nel riportare le cose nuovamente alla normalità, ed evitare così
l’enorme aggravio che deriva dalla disoccupazione. Per questo sostengo
che, anche nel caso in cui si prende il bilancio come metro di giudizio,
il criterio per giudicare se il risparmio sia utile o no è lo stato
dell’occupazione. In una guerra, per esempio, tutti sono al lavoro, e
talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono svolte.
Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più saggia
la sostituirà.
S.: La stessa cosa accadrebbe se il governo
stesse attuando un grande progetto edilizio e un programma di
risanamento delle aree degradate.
K.: Sì, o di costruzione di altre ferrovie. O stesse
bonificando altre terre, o ci fosse un’industria in rapida espansione a
causa di nuove invenzioni, o qualsiasi altra ragione di questo tipo.
S.: Ma se, come accade oggi, una metà della
forza-lavoro e degli impianti del paese sono inattivi, ciò indica che se
un tipo di spesa viene ridotto, essa non sarà rimpiazzata da una spesa
alternativa più saggia. Significa che niente prenderà il suo posto:
nessuno sarà più ricco e tutti diverranno più poveri.
K.: Trovo che siamo d’accordo più di quanto
pensassimo. Ma molte persone ritengono oggi che persino le spese
praticabili costituiscano una vera sciocchezza. Quando il Consiglio
della Contea decide la costruzione di case, il paese sarà più ricco
anche se le case non garantiranno alcuna rendita. Se non si costruiscono
quelle case, non avremo nulla da mostrare fatta eccezione per il
maggior numero di uomini che ricevono un sussidio.
Dal Keynes blog
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