Italia tra gli ultimi in Europa per risorse destinate alla protezione sociale delle persone con disabilità
Si spendono 438 euro
pro-capite annui, meno della media europea (531 euro), lontanissimi dal
Regno Unito (754 euro). Indietro nell’inserimento lavorativo, poche
risorse per la scuola. Il modello italiano rimane assistenzialistico,
responsabilità scaricate sulle famiglie
Roma, 17 ottobre 2012 – Con
438 euro pro-capite annui, l’Italia si colloca molto al di sotto della
media dei Paesi dell’Unione europea (531 euro) nella graduatoria delle
risorse destinate alla protezione sociale delle persone con disabilità.
In Francia si arriva a 547 euro per abitante all’anno, in Germania a 703
euro, nel Regno Unito a 754 euro, e solo la Spagna (395 euro) si
colloca più in basso del nostro Paese. Ancora più grande è la
sproporzione tra le misure erogate sotto forma di benefici cash, ossia
di prestazioni economiche, e quelle in natura, ossia sotto forma di beni
e servizi. In quest’ultimo caso il valore pro-capite annuo in Italia
non raggiunge i 23 euro, cioè meno di un quinto della spesa media
europea (125 euro), un importo lontanissimo dai 251 euro della Germania e
pari a meno della metà perfino della spesa rilevata in Spagna (55
euro). È quanto emerge da una ricerca promossa dalla Fondazione Cesare
Serono e realizzata dal Censis sui bisogni ignorati delle persone con
disabilità, basata sul confronto con gli altri Paesi europei
dell’offerta di servizi per cronici e disabili da parte della sanità
italiana.
Secondo gli ultimi dati disponibili, in Italia le misure economiche
erogate dall’Inps in favore di persone che hanno una limitata o nessuna
capacità lavorativa sono pari a circa 4,6 milioni di prestazioni
pensionistiche, di cui 1,5 milioni tra assegni ordinari di invalidità e
pensioni di inabilità e 3,1 milioni per pensioni di invalidità civile,
incluse le indennità di accompagnamento, per una spesa complessiva di
circa 26 miliardi di euro all’anno. Ma il modello italiano rimane
fondamentalmente assistenzialistico e incentrato sulla delega alle
famiglie, che ricevono il mandato implicito di provvedere autonomamente
ai bisogni delle persone con disabilità, di fatto senza avere
l’opportunità di rivolgersi a strutture e servizi che, sulla base di
competenze professionali e risorse adeguate, potrebbero garantire non
solo livelli di assistenza migliori, ma anche la valorizzazione delle
capacità e la promozione dell’autonomia delle persone con disabilità.
L’Italia è ancora molto indietro sul fronte dell’inserimento
lavorativo delle persone con disabilità, come dimostrano i dati sui
tassi di occupazione. Le differenti definizioni di disabilità in uso nei
diversi Paesi europei rendono difficile il confronto. Ma ad esempio in
Francia, dove il 4,6% della popolazione (una quota simile a quella
italiana) ha un riconoscimento amministrativo della propria condizione
di disabilità, si arriva al 36% di occupati tra i 45-64enni disabili,
mentre in Italia il tasso si ferma al 18,4% tra i 15-44enni e al 17% tra
i 45-64enni.
Anche i dati prodotti dalle ricerche della Fondazione Cesare Serono e
del Censis evidenziano le enormi difficoltà che queste persone
incontrano, sia a trovare un lavoro una volta completato il percorso
formativo (è il caso delle persone con sindrome di Down e degli
autistici), sia a mantenere l’impiego a fronte di una malattia cronica
che causa una progressiva disabilità (è il caso delle persone con
sclerosi multipla). Meno di una persona Down su 3 lavora dopo i 24 anni,
e il dato scende al 10% tra gli autistici con più di 20 anni. Meno
della metà delle persone con sclerosi multipla tra i 45 e i 54 anni è
occupata, a fronte del 12,9% di disoccupati e del 23,5% di pensionati.
Per fornire una mappa dell’offerta sanitaria e socio-sanitaria su cui
possono contare i disabili italiani è stata realizzata un’indagine
nazionale che ha coinvolto tutte le 147 Asl e che si basa sulle risposte
di 35 di esse. Con riferimento ai servizi disponibili per le persone
Down, 19 Asl su 24 indicano la presenza di servizi di neuro e
psico-motricità dell’età evolutiva e di logopedia, 16 segnalano
l’attivazione di progetti di educazione all’autonomia e 17 di altri
servizi. Per quel che riguarda i pazienti affetti da disturbi dello
spettro autistico, 21 Asl su 24 segnalano l’offerta di servizi di
logoterapia e 18 su 24 garantiscono la terapia per la psicomotricità.
Per quanto riguarda i servizi per i pazienti affetti da sclerosi
multipla, l’offerta delle Asl si concretizza soprattutto in
riabilitazione motoria e logopedia, la prima garantita praticamente
dalla totalità delle Asl, la seconda dalla metà. Per i pazienti con la
malattia di Parkinson, tutte le Asl hanno segnalato di garantire la
riabilitazione motoria, la metà quella del linguaggio, un terzo la
terapia occupazionale.
L’inclusione scolastica occupa un posto centrale nel panorama delle
politiche di inserimento sociale delle persone con disabilità. In Italia
però sono poche le scuole speciali dedicate ad alunni con problematiche
sanitarie complesse. Ma la legge obbliga tutte le scuole pubbliche e
private ad accettare l’iscrizione degli alunni con disabilità. Se è vero
che l’esperienza italiana rappresenta un’eccellenza, le risorse
dedicate alle attività di sostegno e di integrazione degli alunni con
disabilità nella scuola appaiono spesso inadeguate. Nell’anno scolastico
2010-2011 circa il 10% delle famiglie degli alunni con disabilità ha
presentato un ricorso al Tribunale civile o al Tribunale amministrativo
regionale per ottenere un aumento delle ore di sostegno.
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