martedì 30 ottobre 2012

La risposta del ministero del lavoro agli ultimi interpelli.

La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva ha risposto, in data 19 ottobre 2012, ai seguenti quesiti:
• Apprendistato professionalizante - durata formazione e previsioni collettive
• Contratto a termine e computo periodo massimo 36 mesi
• Pensionamento lavoratori collocati in mobilità ex art. 41, comma 7, L. n. 289-2012
• Indennità di mobilità imprese esercenti attività commerciali

Apprendistato professionalizzante - durata formazione e previsioni collettive
L’istante chiede, in particolare, se siano legittime quelle clausole della contrattazione collettiva – ad esempio art. 14, punto 3, dell’accordo per la disciplina contrattuale dell’apprendistato nel settore turismo del 17 aprile 2012 – che prevedono una riduzione dell’impegno formativo in caso di verifica del Piano Formativo Individuale (PFI) ad opera dell’ente bilaterale e – nell’esempio in questione – del rispetto integrale delle condizioni di cui all’art. 1, comma 5, del medesimo accordo che richiede “l’integrale applicazione delle disposizioni del presente contratto ed in particolare di quelle relative ad assistenza sanitaria integrativa, previdenza complementare, enti bilaterali e formazioni continua (…)”.
La risposta in sintesi:
"...Da quanto sopra appare evidente che alle parti sociali è sì affidata l’individuazione, tra l’altro, della “durata della formazione” ma ciò esclusivamente in funzione della “età dell’apprendista e del tipo di qualificazione contrattuale da conseguire”. In altri termini è possibile prevedere che la durata standard del monte ore formativo sia ridotta, ad esempio, se il lavoratore abbia 29 anziché 18 anni o qualora abbia avuto esperienze professionali analoghe a quella oggetto del contratto di apprendistato.
Non appare invece in linea, né con le disposizioni del D.Lgs. n. 167/2011, né con i principi costituzionali di parità di trattamento, né con quelli comunitari sulla libera concorrenza prevedere una riduzione del monte ore di formazione esclusivamente basandosi su elementi del tutto estranei alla età dell’apprendista o al fabbisogno formativo utile al raggiungimento della qualifica contrattuale.
Le riduzioni previste dalla contrattazione collettiva in funzione della semplice “validazione” del PFI da parte dell’ente bilaterale o alla adesione allo stesso ente non possono pertanto ritenersi efficaci sotto il profilo pubblicistico.
Ne consegue che, in tali ipotesi, il personale ispettivo potrà correttamente impartire il provvedimento di disposizione di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 167/2011, qualora ne ricorrano tutte le condizioni, ordinando una integrazione del PFI e della formazione non effettuata.".

Contratto a termine e computo periodo massimo 36 mesi
Si è risposto al quesito dell'Assolavoro, in merito alla corretta interpretazione del disposto normativo ex art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001, afferente al computo del periodo massimo di occupazione del lavoratore in caso di successione di più contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti.
In particolare, l’istante chiede se sia possibile per un’azienda utilizzatrice, una volta esaurito il periodo massimo di trentasei mesi consentito dalla legge, far ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato nei confronti del medesimo lavoratore.
La risposta in sintesi:
"...Alla luce delle considerazioni sopra svolte, in risposta al quesito avanzato, si ritiene dunque che un datore di lavoro, una volta esaurito il periodo massimo di trentasei mesi, possa impiegare il medesimo lavoratore ricorrendo alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.".

Pensionamento lavoratori collocati in mobilità ex art. 41, comma 7, L. n. 289-2002
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 30 del 19 ottobre 2012, ha risposto ad un quesito dell'Associazione Religiosa Istituti Socio – Sanitari (ARIS), in merito alla corretta interpretazione dell’art. 41, comma 7, L. n. 289/2002 e successive modificazioni.
In particolare, l’istante chiede se il trattamento corrispondente all’indennità di mobilità nei confronti dei lavoratori della sanità privata di cui alla suddetta disposizione, ove concesso entro l’anno 2012, continui ad essere erogato anche dopo il 31 dicembre 2012 per la durata di 66 mesi; l’istante pone, altresì, la questione afferente alla disciplina applicabile ai lavoratori citati in materia di requisiti e di accesso ai trattamenti pensionistici.
 La risposta in sintesi:
 "...  Al riguardo – attesa la modifica, da ultimo intervenuta, dell’art. 41, comma 7, del L. n. 289/2002 – si ritiene che l’ammortizzatore possa essere concesso anche nel corso del 2013 e per i periodi massimi ivi previsti, fermi restando i limiti di finanziamento che al riguardo sono stati indicati da ultimo dall’art. 23, comma 12 duodecies, del D.L. n. 95/2012. Ciò in quanto la proroga delle disposizioni di cui al D.L. n. 108/2002 non può non trovare giustificazione se non in corrispondenza del diritto a fruire della indennità in questione.
Per quanto attiene al secondo quesito, dall’analisi del dettato di cui all’art. 41, comma 7, della L. n. 289/2002, non si rinviene alcun riferimento esplicito alla disciplina in materia di requisiti per l’accesso ai trattamenti pensionistici; ciò peraltro risulta evidente in considerazione del rinvio che la norma in questione fa alle disposizioni contenute nell’art. 1, commi 5, 6, e 8, del D.L. n. 108/2002.
Si rappresenta, peraltro, che sotto la vigenza della Legge da ultimo citata la disciplina dei trattamenti pensionistici per la generalità dei lavoratori, ovvero quella concernente i requisiti per la pensione di anzianità, trovava la propria fonte normativa nell’art. 59, comma 6, L. n. 449/1997 (tabella C), salvo che non si trattasse dei lavoratori “precoci” i quali, ai fini pensionistici, possono vantare il requisito contributivo ma non quello anagrafico.
In considerazione di quanto sopra argomentato può, dunque, evincersi che la categoria dei lavoratori in mobilità non può essere considerata come categoria “a carattere speciale” ai fini della disciplina per l’accesso alla pensione. Di conseguenza, i lavoratori destinatari dell’indennità di mobilità ex art. 41 citato, per conseguire il diritto ai trattamenti pensionistici, devono perfezionarne i requisiti alla luce delle norme dettate per la generalità dei lavoratori dipendenti.
Si ricorda tuttavia che il suddetto criterio subisce una deroga esclusivamente nei confronti di quella categoria dei lavoratori collocati in mobilità ordinaria per i quali espressamente le norme in materia pensionistica contemplano una “clausola di salvaguardia” per il consentire l’accesso ai trattamenti pensionistici sulla base della previgente normativa.".

Indennità di mobilità imprese esercenti attività commerciali
La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 29 del 19 ottobre 2012, ha risposto ad un quesito della Confcommercio, in merito alla corretta applicazione della L. n. 223/1991, per quanto attiene alla sussistenza dei limiti numerici necessari per l’attivazione, da parte di imprese esercenti attività commerciale con meno di 50 dipendenti al termine di un periodo di CIGS, della procedura di mobilità c.d. indennizzata.
Nello specifico, l’istante chiede se sia o meno possibile, per un’impresa esercente attività commerciale, attivare la procedura di mobilità di cui sopra qualora, durante il periodo di fruizione della CIGS precedentemente concessa, sia venuto meno il requisito occupazionale dei 50 dipendenti richiesto dalle norme di legge per le aziende rientranti nel citato settore.
Si pone, inoltre, la questione per cui l’azienda richiedente la mobilità sia passata, senza soluzione di continuità, da un periodo di CIGS per cessazione di attività, ex art. 1 e ss., L. n. 223/1991, ad un periodo di CIG in deroga.
La risposta in sintesi:
"...  Premesso quanto sopra si ritiene che, in caso di procedura di mobilità avviata ex art. 4 della L. n. 223/1991, qualora nel corso dell’attuazione del programma di CIGS, approvato per le causali di intervento di cui all’art. 1 della L. n. 223/1991, l’impresa ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi, il requisito dimensionale (superiore a 15 dipendenti per l’industria, 50 dipendenti per il commercio ecc.) sia richiesto solo al momento della presentazione della richiesta di ammissione al relativo intervento straordinario di integrazione salariale, con riferimento alla media occupazionale del precedente periodo semestrale, ex art. 1 L. n. 223/1991.
Da un punto di vista letterale, l’art. 4, comma 1, della L. n. 223/1991, nel disciplinare la collocazione in mobilità dei lavoratori che nel corso dell’attuazione del programma di CIGS non possono essere reimpiegati, non pone alcun requisito numerico, a differenza di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 24 che prevede, per contro, la sussistenza del requisito occupazionale di più di 15 dipendenti per il datore di lavoro che intenda ridurre il personale senza previo ricorso alla CIGS.
Stante quanto sopra, l’impresa potrà avviare la procedura di mobilità, ai sensi dell’art. 4 della L. n. 223/1991, durante o al termine dell’intervento della CIGS di cui all’art. 1 della L. n. 223/1991, nel corso delle sospensioni dal lavoro ai sensi della relativa disciplina, anche qualora il livello occupazionale sia sceso al di sotto del limite dimensionale di cui trattasi.
Del resto costituisce conseguenza naturale dell’intervento straordinario di integrazione salariale e dell’attuazione del piano di risanamento aziendale e di gestione degli esuberi (soprattutto nei casi di CIGS per crisi aziendale) una riduzione di organico dell’azienda. Pertanto, riconoscere il trattamento di mobilità e le relative procedure di garanzia soltanto ai lavoratori che facevano parte dell’azienda in un momento in cui la stessa possedeva il requisito dimensionale di cui all’art. 1 della L. n. 223/1991 non garantirebbe la parità di trattamento tra lavoratori licenziati in periodi diversi, sia pure nell’ambito di un unico processo di ridimensionamento legato ad un intervento concomitante o senza soluzione di continuità di CIGS e mobilità.
Alla medesima conclusione occorre pervenire anche nel caso in cui l’azienda transiti da un periodo di CIGS per cessazione di attività ai sensi dell’art. 1 della L. n. 223/1991 ad un periodo di CIGS in deroga, durante il quale giunge alla collocazione in mobilità dei lavoratori.
Tali lavoratori avranno diritto all’accesso alla mobilità di cui alla L. n. 223/1991 e non alla mobilità in deroga in quanto il requisito dimensionale va valutato, in ogni caso, al momento della presentazione della richiesta di CIGS. Tale conclusione trae origine dalla circostanza per cui la mobilità in deroga è riservata alle aziende che non rientrano nel campo di applicazione della L. n. 223/1991 e che pertanto non hanno neppure mai versato i contributi di mobilità.
Nel caso di lavoratori dipendenti da una impresa che rientra nel campo di applicazione della L. n. 223/1991 per i quali siano stati versati i relativi contributi, si ritiene pertanto che i medesimi abbiano diritto all’indennità di mobilità di cui alla L. n. 223/1991, anche in ragione delle esigenze di parità di trattamento innanzi illustrate..".

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