giovedì 22 dicembre 2011

All'origine della crisi. (di Mario Calabresi)



Pubblico un articolo di Mario Calabresi, direttore de La Stampa sulle origini della crisi che stiamo vivendo. L'articolo è il primo capitolo di un ebook in vendita sul sito de La Stampa. 
Spero che la lettura possa essere interessante e che faccia riflettere tutti sull'ingordigia e avidità delle persone e su quanti su queste debolezze si sono arricchiti
Buona lettura

Se Claudia avesse continuato a fare la fotografa e non si fosse messa a comprare appartamenti con vista sulla baia di Miami, Mario Monti oggi sarebbe ancora un professore e non il Presidente del Consiglio italiano.
La scintilla che ha acceso la grande crisi economica globale non parte da New York nel settembre del 2008, con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers, ma da Miami quasi due anni prima, quando, nel disinteresse e nell’incredulità generale, comincia a scoppiare la bolla immobiliare che avvelenerà le banche di tutto il pianeta.
Le nostre difficoltà di italiani partono da ben più lontano. Il nostro debito pubblico è decollato a cifre abnormi già trent’anni fa, ma oggi anche noi siamo parte di una crisi che comincia quando crolla il “mattone” americano.
Anche questa è la classica storia che mescola in modo incontrollabile tutti gli ingredienti che hanno formato ogni bolla economica della storia: sogni, ignoranza, avidità, furbizia e mancanza di memoria. 
L’America del dopo 11 settembre ha bisogno di rimettersi in piedi in fretta e per far ripartire il motore dell’economia si affida alle costruzioni, settore con una capacità trainante impressionante, e rispolvera il sogno clintoniano di un Paese di possessori di case. 


Per farlo non basta però costruire, ci vogliono bassissimi tassi d’interesse e una politica dei mutui che li conceda a chiunque, anche a chi non ha garanzie o risparmi.

L’unica cosa che è richiesto possedere è il desiderio. Pur di piazzare prestiti gli agenti delle banche e delle finanziarie riducono di mese in mese la cifra da versare come caparra, fino a raggiungere lo zero: la casa sarà tutta a debito, bisogna solo dimostrare di avere uno stipendio che permetta di pagare le prime rate. 
Le rate dei primi tre o cinque anni, poi si vedrà, poi il problema sarà di chi ha comprato quel credito, che nel frattempo è stato mescolato ad altri e impacchettato in qualche prodotto finanziario complesso che va a finire nella pancia delle banche o nelle tasche dei risparmiatori di ogni angolo del pianeta.

L’ingordigia di far soldi sulle commissioni, i premi ai venditori, i guadagni sui prodotti finanziari e i tassi vicini allo zero sono benzina che tiene alta la fiamma della crescita. I valori immobiliari salgono senza sosta, si crea e si diffonde la sensazione che la casa possa essere usata come un bancomat, così chi è già indebitato ogni anno passa alla banca per farsi dare un prestito pari alla rivalutazione della sua villetta. “Se l’ho comprata un anno fa a 100 – dice il ragionamento che si diffonde a macchia d’olio – e ho ottenuto un mutuo che mi copriva tutta la cifra, quest’anno che vale 120 posso chiedere un ulteriore finanziamento di 20 e pagare la scuola dei figli, le vacanze o cambiare la macchina. Se poi non ce la faccio a pagare le rate nessun problema, vendo la casa e restituisco tutto alla banca, nel frattempo ho vissuto bene come se fossi in affitto.”
Nessuno ha dubbi, nessuno pensa che i prezzi possano anche calare, che la storia ha cicli e corsi, la mancanza di memoria e di prudenza diffonde la certezza che questa volta la crescita sarà infinita, sarà per sempre. 
D’altronde si teorizza perfino che il rischio non esiste più, che i modelli matematici l’hanno cancellato dalle contrattazioni di borsa.

Nell’euforia anche chi non ha risparmi comincia a speculare: si fa fare un piccolo prestito e compra una casa sulla carta versando solo l’acconto, poi, prima ancora che sia finita la rivende e incassa l’aumento di valore creato grazie alla corsa verso l’alto dei prezzi. Ma l’ingordigia non ha limiti. 
E allora perché non comprare due, tre, quattro appartamenti per aumentare i guadagni? Come in un casinò, in cui però sono tutti convinti di vincere.

E qui entra in gioco l’ignoranza vittima della furbizia: moltissimi acquirenti firmano contratti di cui hanno chiaro solo il valore delle prime rate, non sanno e non gli viene spiegato che per tre o cinque anni il costo mensile sarà fisso, perché fisso è il tasso, ma poi il mutuo si trasformerà in variabile e la rata schizzerà alle stelle. 
Si chiamano ARM, Adjustable Rate Mortgage, mutui a tasso variabile, con un acronimo che significa anche arma, pistola.

Una pistola puntata sulla crescita americana e sulla possibilità delle famiglie più povere di continuare ad abitare la casa sempre sognata.
A rendere il tutto ancora più instabile ci pensa la Federal Reserve, che per frenare l’inflazione, dopo aver teorizzato i tassi a livello zero, tra la primavera del 2004 e l’estate del 2006 porta il costo del denaro dall’1% al 5,25% attraverso ben 17 rialzi consecutivi dei tassi stessi.
Si sta formando la tempesta perfetta: il mercato comincia a essere saturo, si continua a costruire troppo, il debito delle famiglie ha superato ogni record storico, i tassi sono saliti in fretta e scoraggiano nuovi acquisti e i primi mutui ARM stanno arrivando al momento di passaggio dalla rata fissa a quella variabile. La frana comincia alla fine del 2005, si gonfia nel 2006 ed esplode in tutti gli Stati Uniti nella primavera del 2007.
Le famiglie cominciano a far bancarotta, non sono più in grado di pagare la rata e cominciano i foreclosure, i pignoramenti. Si moltiplicano le villette vuote con il cartello che annuncia la vendita o la messa all’asta piazzato nel giardinetto di fronte all’ingresso. È la fine del sogno.
Ho girato l’America in ogni direzione proprio mentre cominciava il crollo e ho ascoltato centinaia di storie, tutte simili, tutte raccontate con incredulità e rabbia: “La mia casa valeva ormai 200 e io avevo un mutuo per 170 e mi sentivo tranquillo, poi il mio vicino non ce l’ha più fatta a pagare la rata e ha provato a vendere per salvare qualcosa, per la paura di non riuscirci ha chiesto 190, poi 180, poi 170, ma non ce l’ha fatta perché ha cominciato a diffondersi l’ansia e il mercato si è paralizzato. 
Così ha gettato la spugna e la banca che gliel’ha pignorata non si è fatta scrupoli a metterla sul mercato a 150 e allora si è diffuso il panico e ci siamo trovati tutti con un pugno di mosche in mano.”

Perché pagare le rate di qualcosa che perde valore giorno dopo giorno? Questo è il ragionamento di molti e così in molti smettono di onorare l’impegno e mollano la casa all’improvviso, distruggendo il mercato e il tessuto sociale di interi quartieri. In California, sulle colline dietro Los Angeles, ho  sulle colline dietro Los Angeles, ho incontrato un padre di tre ragazze distrutto dall’angoscia: aveva quasi finito di pagare la sua bella villetta a schiera con tanto di piscina sul retro, ma tutti i suoi vicini erano stati pignorati. La famiglia era circondata da case vuote. Le piscine degli altri, degli amici da cui andavano a fare la grigliata, erano ormai pozze maleodoranti e la notte tutto era diventato insicuro. “Viviamo nella paura e nella desolazione, ogni rumore la notte ci sveglia e non mi fido più a far tornare le ragazze tardi la sera. Finiremo per scappare anche noi, ma è giusto abbandonare la propria casa come se fossimo in guerra, la casa in cui ho messo i risparmi di una vita?”.
Nel giro di tre anni, tra il 2005 e il 2008 una famiglia su sei è finita sott’acqua – perché il mutuo da pagare è diventato più alto del valore della casa – e il dramma è che la maggior parte di loro non è più riemersa. Così l’America, dal New Jersey alla Florida, da Las Vegas a Detroit, si è riempita di quartieri fantasma, arrivando a registrare una casa vuota ogni nove.
Quei mutui che nessuno paga più nel frattempo sono passati di mano in mano. Sono finiti nel portafoglio delle banche di tutto il mondo e hanno contagiato la finanza e i mercati. Ma soprattutto hanno ucciso la fiducia, hanno minato le certezze e reso ogni investitore ansioso e spaventato. Una sindrome da cui non siamo più guariti.
Ma esiste un luogo, si può identificare un punto preciso in cui tutto è cominciato? Nell’autunno del 2008 sono andato a chiederlo a un premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz, che dopo averci pensato un po’ mi ha dato il suo verdetto: “Il vero simbolo della speculazione e della bolla immobiliare sono i quartieri di downtown Miami, quei palazzoni vuoti che guardano la baia, è lì che devi andare.” In quell’area tra il 2003 e il 2010 la follia speculativa ha portato a costruire 22.500 nuovi appartamenti, tutto in uno spazio di soli sessanta isolati.
È proprio in Florida che già nel gennaio del 2007 si era manifestata la crisi: 19.000 appartamenti pignorati in 28 giorni. Ma per essere ancora più precisi e seguire alla lettera Stiglitz approfondisco la ricerca e scopro che esiste 
Ma per essere ancora più precisi e seguire alla lettera Stiglitz approfondisco la ricerca e scopro che esiste una lunga via elegante che guarda il mare, Brickell Avenue, dove alla fine del 2007 vengono abbandonati 54 appartamenti in meno di una settimana. Stringo ancora e trovo il paziente zero, il simbolo della crisi immobiliare americana: si chiama The Club, è un condominio di 43 piani, alto 125 metri e con la piscina sulla terrazza: qui si fa il record assoluto dei pignoramenti. E nel giro di un anno gli agenti immobiliari sono costretti ad abbattere i prezzi fino al 70%: un monolocale di 40 metri quadrati con vista sulla baia al 33esimo piano viene dato via a 99mila dollari, meno di 70mila euro. E per piazzarlo ci vogliono mesi.

Claudia, la fotografa, aveva comprato qui quattro appartamenti. Comprava e vendeva senza sosta, sempre facendosi prestare i soldi dalle banche. Si era illusa che potesse durare all’infinito e che la ricchezza fosse diventata un diritto per tutti. Ora vende rosari alla chiesa cattolica di St. Jude, sull’angolo dove finisce Brickell Avenue. Alla fine del percorso resta solo la carità del parroco che, per aiutarla, la domenica le fa fotografare i matrimoni e le comunioni.
Oggi, tre anni dopo l’aver toccato il fondo nel 2009, Brickell ha ricominciato a splendere, sono tornati i clienti e le agenzie immobiliari hanno fatto ridipingere i muri che la salsedine aveva scrostato. Ma non sono americani, sono quasi tutti stranieri: sono i nuovi ricchi del mondo – brasiliani, messicani, venezuelani, arabi – che grazie anche venezuelani, arabi – che grazie anche al dollaro debole coronano il loro sogno americano. Questo però accade solo in Florida o a Manhattan, nel resto del Paese, nell’America profonda di provincia, il mercato non riparte ancora, la gente continua a perdere la casa e i quartieri non si ripopolano. E finché la tua casa varrà meno del mutuo non potrai ritrovare fiducia, non ricomincerai a consumare. È questo il male profondo, insieme alla disoccupazione al 9%, dell’America di Obama. E questo male ha risvegliato tutti gli altri, ha acceso i fari sui debiti, sulle storture, sulla mancata crescita di ogni banca e di ogni Paese e così sono venuti a galla anche i nostri di guai, quelli che angosciano il nostro presente e ci impongono di ripensarci venezuelani, arabi – che grazie anche al dollaro debole coronano il loro sogno americano. Questo però accade solo in Florida o a Manhattan, nel resto del Paese, nell’America profonda di provincia, il mercato non riparte ancora, la gente continua a perdere la casa e i quartieri non si ripopolano. E finché la tua casa varrà meno del mutuo non potrai ritrovare fiducia, non ricomincerai a consumare. È questo il male profondo, insieme alla disoccupazione al 9%, dell’America di Obama. E questo male ha risvegliato tutti gli altri, ha acceso i fari sui debiti, sulle storture, sulla mancata crescita di ogni banca e di ogni Paese e così sono venuti a galla anche i nostri di guai, quelli che angosciano il nostro presente e ci impongono di ripensarci.
Abbiamo pensato a questo libro per portarvi alla radice della nostra crisi e per farlo c’era bisogno di partire da lontano, da quella strada dove tutti credevano di aver trovato il paradiso e invece scendevano all’inferno.

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