Dal 1 gennaio 2012 cambiano le regole per il contenzioso legale per il conseguimento delle prestazioni per gli invalidi. La circolare INPS
Invalidità e contenzioso
La legge15 luglio 2011, n. 111 (manovra Tremonti)
interviene sul contenzioso civile che riguarda l’invalidità, la cecità e
la sordità civile, ma anche l’inabilità e l’invalidità “pensionabili”
cioè quelle riconosciute ai lavoratori, con un minimo di versamenti
contributivi, divenuti disabili parziali o totali nel corso della
carriera lavorativa.
Con la mole di procedimenti gestiti da INPS, è quasi fisiologica la
presentazione di ricorsi e contenziosi amministrativi e davanti
all’autorità giudiziaria.
In realtà quella del contenzioso in giudizio è una spina nel fianco
dell’Istituto che comporta un notevolissimo impegno di risorse, non
sempre efficace quando INPS è soccombente nelle cause che riguardano
pensioni ed altre prestazioni.
Alcuni dati li raccogliamo nell’ultimo Bilancio presentato da INPS: il primo gennaio 2009 erano giacenti 769.037 contenziosi; a fine anno, nonostante ne fossero stati definiti 296.412, ce n’erano giacenti 822.959.
Quelli nuovi infatti superavano quelli già “evasi”. Un cifra
impressionate che sovraccarica notevolmente anche la giustizia civile.
In particolare, la giacenza dei contenziosi legali all’invalidità civile, a fine 2009, era di 292.726 casi.
I nuovi ricorsi nel 2009 sono stati 114.664, ma va tenuto conto che non
si era ancora conclusa la prima fase dei controlli straordinari e che
nel corso del 2011 ce ne saranno altri 250.000 con un inevitabile
incremento del contenzioso.
Un ultimo dato interessante è quello relativo alle cause concluse nel corso del 2009: sono 137.154. Il giudice ha dato ragione all’INPS in 58.866 casi. Meno della metà, visto che in 64.063 casi il giudice ha dato ragione agli invalidi.
Tempi e risorse che INPS intende diminuire, per certi versi
giustamente, e che il testo della Manovra recepisce nell’articolo
denominato “Processo civile ed altre disposizioni per la maggior
efficienza della giustizia”. Questo presenta interventi che, nelle
intenzioni di chi ha elaborato il testo, vengono proposti come una forma
di tutela per il Cittadino. In realtà, per quanto riguarda le
invalidità civili, l’intento è quello di ridurre e limitare il
contenzioso, non sempre garantendo la “parità” fra le parti. Vediamo di
cosa si tratta.
Nuove modalità di ricorso
Fino ad oggi chi voleva opporsi ad una decisione di INPS in materia di invaldità o di handicap, presentava ricorso al Giudice, allegava memorie, documentazione sanitaria, perizie di parte. Il Giudice nominava un CTU, Consulente Tecnico dell’Ufficio,
incaricato di stendere una relazione peritale che poi il Giudice
acquisisce, assieme alle eventuali memorie, perizie, documentazioni
della controparte.
Il testo del Decreto Legge 98/2011 (art. 38, comma 1) modifica il
Codice di procedura civile, introducendo uno nuovo articolo specifico
per queste situazioni: l’articolo 445 bis. Questo articolo prevede l’accertamento tecnico preventivo obbligatorio.
L’obiettivo è di risolvere il contenzioso in tempi più rapidi e senza
sovraccaricare la giustizia civile di ripetute udienze. Teoricamente
positivo come intento.
Il Cittadino che intenda opporsi ad una decisione (esempio più frequente: un verbale di invalidità) di INPS, non presenta più il ricorso introduttivo per il giudizio, ma presenta, sempre al Tribunale, l’istanza di accertamento tecnico
per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la
pretesa fatta valere. Insomma non si va subito “in causa” ma si chiede
una consulenza tecnica preventiva ai fini della conciliazione della lite
(con ciò che comporta poi in termini di processo verbale in caso di
conciliazione).
Il Giudice nomina il consulente tecnico. Il consulente tecnico
provvede a stendere la relazione e, prima di depositarla, tenta la
conciliazione fra le parti.
Senza accertamento tecnico preventivo il Giudice non procede. Alla
prima udienza, se rileva che non è stata presentata l’istanza o non è
stato completato l’accertamento tecnico preventivo, concede al massimo altri 15 giorni di tempo.
Terminate le operazioni di consulenza, il Giudice, con decreto
comunicato alle parti (INPS e Cittadino), fissa un termine perentorio non superiore a trenta giorni,
entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto
depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del
consulente tecnico dell’ufficio.
In assenza di contestazione, il giudice, entro trenta giorni, omologa
con decreto l’accertamento del requisito sanitario presentato nella
relazione del consulente.
Il decreto è inappellabile, cioè non si possono più
presentare ricorsi. Gli enti competenti (es. INPS) provvedono, dopo la
verifica degli ulteriori requisiti previsti dalla normativa vigente, al
pagamento delle relative prestazioni, entro 120 giorni.
Al contrario, nei casi di mancato accordo, la parte che abbia
dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico
dell’ufficio deve depositare, presso lo stesso Giudice, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione.
La successiva sentenza - secondo quanto previsto dalla Manovra – è inappellabile e questa limitazione ad un solo grado di giudizio lascia alquanto perplessi.
In un successivo passaggio (art. 38, comma 7), la Manovra interviene
ancora sulla partecipazione dell’INPS nella definizione della relazione
peritale del Consulente tecnico di ufficio. La Manovra modifica una
norma già esistente (art. 10, comma 6-bis legge 2 dicembre 2005, n. 248)
con l’intento di rendere più semplice la partecipazione del medico legale INPS, rispetto alla partecipazione dell’eventuale consulente della controparte (Cittadino).
Resta da capire se riguarderanno anche i ricorsi già depositati oppure solo quelli presentati dopo quella data.
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