domenica 10 luglio 2016

E ora Cuffaro a morte.

E' notorio che quando, per qualsiasi ragione, si finisce nell'inferno carcerario si viene spogliati della propria dignità, si diventa un numero, un oggetto al quale la società chiede il conto per i comportamenti penalmente perseguibili che si sono tenuti.
Alla giusta privazione della libertà personale, la cui durata è commisurata alla gravità del reato commesso, possono aggiungersi le pene accessorie previste dal codice penale, a queste, spesso, si uniscono anche quelle non previste da alcun codice ma che rendono la condanna ancorpiù dura e, in alcuni casi, inumana. 
Dobbiamo a una serie di "detenuti eccellenti" sia la percezione che la legge sa ancora essere uguale per tutti, sia la conoscenza delle condizioni in cui sono costretti a vivere i reclusi.
Fu così per Cusani (ricordate il processo Enimont), per Mannino ed è così per il dott. Salvatore Cuffaro.
Di quest'ultimo non sono mai stato estimatore, non l'ho mai votato; l'unica volta che siamo stati dalla stessa parte risale a quando era assessore all'agricoltura del governo Capodicasa, non condividendo quanti lo stanno trattando da eroe.
Lui è e resta un processato, condannato, carcerato, scontata la pena scarcerato.
Di Cuffaro, però,  possiamo dire che la notorietà che lo accompagna gli ha nuociuto più del giusto.
Non ho dimenticato che mentre l'affidamento ai servizi sociali è per coloro che stanno per concludere la pena prassi consolidata, a lui no, gli è stato negato, con la motivazione che non avendo pienamente collaborato ha lasciato lati oscuri nella vicenda che lo riguardava. 
Lati oscuri? E i tre gradi di giudizio a cosa dovevano servire?
Non ho dimenticato che non gli è stato concesso il permesso dir far visita alla madre in agonia in considerazione, scriveva il giudice di sorveglianaza, che essendo affetta da una malatttia degenerativa non era in condizione di riconoscere il figlio, come se il rapporto madre-figlio fosse fatto solo di sguardi e di parole e non di odori, di tatto, di pelle.
Il dott.Cuffaro, si sa, era un detenuto, condannato per un reato infamante.
Ben gli stava.
Oggi è una persona che ha pagato il suo debito con la giustizia, scontando la pena che gli è stata inflitta in un'aula di tribunale, dentro la quale ha potuto esercitare il suo diritto alla difesa.
Il Cuffaro da ex detenuto ha deciso di rappresentare e di far conoscere le condizioni di vita nelle carceri, stavolta parlando per esperienza personale e non per il racconto di terzi.
In  questa veste era stato invitato a partecipare a un convegno organizzato dentro il Parlamento Regionale Siciliano.
L'invito evidentemente era rivolto al pregiudicato ed ex detenuto Salvatore Cuffaro.
Apriti cielo! A poche ore dall'inizio, il Presidente dell'Ars che aveva concesso l'uso della sala fa retromarcia, revoca il permesso rilevando l'inopportunità della presenza del dott.Cuffaro in una sala intotalata al compianto presidente Mattarella ucciso da un commando mafioso.
Non voglio polemizzare con Ardizzone ma ritengo che la sua decisione non ha aumentato il prestigio dell'istituzione dal lui presieduta, tutt'altro. Ha evidenziato ancora di più la distanza che intercorre tra lui, quelli come lui, e la società reale.
Non è mortificando un ex detenuto che l'Ars recupererà il prestigio che ha ormai perso, lo potrà fare se si aprirà ai cittadini, non avendo paura del confronto, consetendo che nelle sue stanze si discuta di problemi che migliaia di cittadini vivono e per i quali non è ancora stata, grazie a dio, firmata una condanna di morte civile.
Credo che Ardizzone abbia perso una bella occasione per dimostrare che la democrazia, le regole del convivere civile sono più forti della criminalità, più forti della mafia, più forti di Salvatore Cuffaro, che credo faccia più paura oggi a tanti ex democristiani di quanto ne facesse all'apice del suo potere.
Chissà perche?
Al dott. Cuffaro che sta per partire per il Burundi l'augurio di buon lavoro e che non abbia a incontrare la stupidità e cinismo di tanta antimafia nostrana.





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