martedì 24 marzo 2015

Se la solidarietà diventa un business, il terzo settore (quello vero) ne paga le conseguenze

Presa Diretta, il programma di giornalismo d'inchiesta di Rai Tre, ha dedicato la puntata del 22 marzo, all'intreccio politico affaristico (a Roma anche qualcosa di più) del sistema dell'accoglienza degli immigrati che ha coinvolto pezzi di terzo settore e la politica che, utilizzando le "emergenze", hanno lucrato, fatto affari, sviluppato clientele, ramificandosi nei gangli della pubblica amministrazione, rendendo impossibile distinguere il corrotto dal corruttore. 
Abbiamo visto come dei "cooperatori sociali", facendosi forti dei rapporti con i decisori politici, si sono trasformati in business man, in barba a qualunque principio di solidarietà e di mutuo aiuto.
Il rischio che oggi si corre è che una frettolosa, quanto mai inopportuna generalizzazione spinga a una criminalizzazione del mondo del non profit e del terzo settore in genere.
A essere colpiti da quanto è emerso sono innanzitutto gli immigrati, la cui condizione è diventata lo strumento di arricchimento e poi, se permettete, il terzo settore. Quello vero.
Quello fatto da milioni di cittadini che donano una parte del loro tempo agli altri, dedicandosi alla cura dei beni comuni, delle persone, dei soggetti fragili.
Immaginiamo cosa sarebbero le periferie della nostre città senza la presenza di volontari che nelle sacrestie, in garage umidi fanno doposcuola, attività educative e di socializzazione.
Pensiamo alle migliaia di associazioni di promozione sociale che nel silenzio più assoluto, senza clamori e senza conquistare le prime pagine dei giornali, sono impegnati a rendere migliore la vita nelle nostre città.
Così come non può dimenticarsi l'interesse generale perseguito dalle migliaia di cooperative sociali che interpretano la loro missione nel dare una nuova chance a soggetti a rischio di esclusione sociale, creando occupazione e con essa nuove opportunità di vita.
Così come a quelle che svolgono attività di contrasto alle fragilità e che i servizi pubblici non riescono a garantire.
Se poi si pensa all'attività dei volontari di protezione civile, sempre in prima fila per garantire una risposta nelle vere emergenze,  abbiamo il quadro di cosa intendiamo per terzo settore e di quello che esso svolge ogni giorno a favore delle collettività.
Fanno, purtroppo, e giustamente, clamore le indagini giudiziarie, che, in ogni caso, ben vengano, perché nessuno può sentirsi e può ritenersi in una zona franca.
Appunto per questo, il Forum del Terzo Settore della Sicilia non può che ritenersi parte lesa da ciò che accaduto.
Perché gli imbrogli sono sempre a discapito delle persone oneste, di chi rispetta le leggi e i contratti.
Di chi fa della solidarietà e del rispetto della dignità umana ha fatto le stelle polari dei propri comportamenti.
Per essere conseguenti occorre, però, assumere delle scelte.
Mi permetto di indicarne alcune:
  • massima trasparenza nell'affidamento degli appalti, ove deve essere espressamente previsto il rispetto delle leggi e dei contratti
  • nessuna attività legata alla accoglienza deve essere affidata senza gara di evidenza pubblica e nella quale siano chiari i compiti e i servizi che devono essere erogati.
  • particolare attenzione deve essere dedicata a quelle associazioni di  "volontari" che si prestano a essere utilizzati per sostituire lavoro strutturato garantendo un conseguente abbattimento dei costi. A cui tutti, a partire dalla pubblica amministrazione sono interessati.
  • esercizio continuo dei controlli e della vigilanza sulle attività e i servizi che sono erogati.
  • più puntuale verifica della nozione di soggetto svantaggiato.
  • un approfondimento sull'opportunità di inserire limiti numerici al numero dei soci nelle cooperative sociali.
Siamo convinti sostenitori che il welfare debba essere uno strumento di coesione sociale, di sviluppo e di crescita economica e ciò solo se riesce a creare buona e vera occupazione, garantendo servizi efficaci ed efficienti, in una logica sussidiaria.
Adesso abbiamo uno strumento in più, la legge delega che tra poco approderà nelle aule parlamentari, può rappresentare l'occasione di un ripensamento nel modo di operare del terzo settore, che ne faccia riscoprire e valorizzare lo spirito originario che anima la gran parte di coloro che vi operano.
Alla politica un invito: non nasconda dietro la parola solidarietà interessi che nulla hanno da dividere con il bene comune.
Un grazie alla magistratura per il lavoro che sta svolgendo: fare pulizia in questo settore che per pochi, danneggiando i tanti, si è trasformato in business, non è solo un esigenza di legalità ma l'essenza stessa del nostro essere, del nostro operare quotidiano.





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