domenica 8 marzo 2015

Antimafia che fa male all'antimafia

Lo so, forse, non è un post "politicamente corretto" ma alla luce di alcuni fatti di cronaca e alle conseguenti prese di posizione di illustri esponenti delle istituzioni, scrivo quello che penso. Lo scrivo, senza alcuna polemica, con il solo obbiettivo di mettere nero su bianco alcune riflessioni che mi sono venute in mente.
Non è nemmeno nelle mie intenzioni mettere in discussione le qualità umani e professionali delle persone coinvolte.
Se tutto nasce dal famoso articolo di Leonardo Sciascia sui professionisti dell'antimafia, è da riconoscere che, purtroppo, poco è cambiato.
Leonardo Sciascia, è bene ricordare, assunse quella posizione, ponendosi la domanda se fosse giusto modificare i criteri di valutazione, abitualmente utilizzati, sull'avanzamento di carriera dei magistrati premiando l'esperienze condotte sul campo di contrasto alle mafie rispetto all'anzianità di servizio. 
La sua preoccupazione era rappresentata più che dal fatto in sé, da quello che sarebbe potuto accadere in seguito.
Aveva ragione. Negli anni la casistica si è arricchita, non solo nel campo giudiziario ma in tutta la società civile.
Voglio citare alcuni esempi, per me esemplificativi.
Si può diventare segretario regionale di un partito e successivamente parlamentare europeo dello stesso partito, senza essere iscritto a quel partito? Si, se sei antimafioso.
Puoi diventare sovraintendente della Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana senza avere alcuna esperienze nel settore? Si, se hai denunciato il racket e il presidente della Regione, in virtù di questo, ti riconosce le debite capacità manageriali.
Si può nominare componente del Direttivo dell'Agenzia dei beni confiscati e sequestrati un rappresentante di Confindustria, quando ad assumersi la responsabilità di gestire la difficile fase della ripresa produttiva delle aziende confiscate non sono mai stati gli imprenditori ma il tanto vituperato movimento cooperativistico? Si, se sei il responsabile legalità della stessa organizzazione.
Ho fatto solo tre esempi, qualcuno potrebbe aggiungerne altri, nulla cambierebbe.
Vorrei sottolineare, in ogni caso, che la responsabilità non è da ascrivere ai soggetti che con il loro coraggio si sono trasformati in eroi e in simboli della lotta alla mafia ma a coloro che li hanno nominati; i quali, spesso, pur di essere riconosciuti paladini antimafiosi hanno bisogno di un trofeo da esibire.
Esiste, infatti, qualcuno migliore di chi si è ribellato, con coraggio, al racket, o di chi è stato colpito dalla mafia negli affetti più cari o di chi firma protocolli di legalità?
La lotta alla mafia, diceva Falcone, non vive di eroi ma di esempi, di regole, di comportamenti rispettosi dei doveri che le norme impongono. 
La lotta alla mafia non si proclama ma si pratica e se i rappresentanti delle istituzioni cominciassero a farlo, forse, inizieremmo a vincerla..

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