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Intervista all'autrice
Oggi le coste italiane sono diventate il teatro di un evento
profondamente diverso rispetto al passato. E basta volgere lo sguardo oltre il
bacino del Mediterraneo per capirlo. Siamo di fronte a un grande esodo, che
riguarda quasi tutto il pianeta". Saskia Sassen, economista e sociologa
della Columbia University, tra i massimi esperti in tema di globalizzazione,
non ha dubbi: "La storia ha già conosciuto fasi di grandi migrazioni, ma
mai su questa scala, nello stesso periodo e con una tale rapidità".
Professoressa
Sassen, come si spiega la fatica dell'Unione Europea per elaborare un piano
condiviso?
"Negli ultimi decenni i Paesi europei - ma lo stesso vale per
gli Stati Uniti - hanno seguito una sola strategia: accogliere i
migranti, più o meno legali, finché hanno avuto bisogno di lavoratori a basso
costo. Perché servivano a risolvere un problema interno all'economia
occidentale. Ma non si sono preoccupati né dei governi dei Paesi da cui i
migranti oggi scappano, né di programmare una politica migratoria sostenibile
ed efficace".
Verso quale
soluzione si dovrebbe quindi lavorare oggi?
"È difficile dirlo, perché la situazione sembra ormai sfuggita di mano, al
punto che l'Alto commissariato per i rifugiati non sa nemmeno come chiamare le
regioni d'origine dei 60 milioni di persone in fuga. Da "terre
caotiche", dice l'ultimo rapporto dell'Onu, visto che in molti casi
- Libia inclusa - è impossibile stabilire quale sia il
governo legittimo. Io di una cosa sono certa: non bisogna rinunciare a cercare
interlocutori credibili in Africa. Senza di loro una politica migratoria resta
impraticabile".
L'Europa, invece,
si chiude. La Francia respinge i profughi a Ventimiglia, l'Ungheria innalza un
muro sul confine con la Serbia. E si fatica a trovare un accordo comune per
fronteggiare l'emergenza.
"Repressioni e misure di controllo sono soluzioni temporanee: forse
possono tamponare provvisoriamente il flusso dei migranti, ma non incidono
sulle ragioni delle migrazioni".
Il progetto di
un'Europa unita e solidale rischia di naufragare?
"Spero che l'Unione Europea continui a rafforzarsi, ma penso che possa
farcela solo a patto di diventare più democratica e meno neo-liberista. Perché
l'accoglienza è più difficile quando la ricchezza si concentra nelle mani di
pochi e anche la classe media viene piano piano espulsa da case e da zone
decorose".
Da anni ormai
l'estrema destra europea usa la leva della xenofobia. Crede che l'Italia e la
Francia si consegneranno presto a Matteo Salvini e a Marine Le Pen?
"L'Europa sarebbe la regione meglio posizionata per opporre alla logica
dell'esclusione la cultura dell'inclusione, ma è anche vero che molti elementi
lasciano presagire ben altro. Basta pensare alle recenti elezioni in Danimarca
(il Partito del popolo danese ha ottenuto il 21,1% dei voti, diventando il
secondo partito in Parlamento, ndr ). In un paese che pure è per molti versi
illuminato e ragionevole...".
E la sinistra?
Ritiene che debba rimproverarsi di non aver capito l'importanza del problema
migratorio per le fasce più deboli della popolazione?
"Stabilire di chi siano le colpe non porta da nessuna parte e non aiuta a
trovare soluzioni. Ma penso che la sinistra paghi una certa noncuranza,
l'incapacità di mettere a fuoco il problema e riconoscere le caratteristiche
più sottili delle migrazioni. C'è stato un atteggiamento di semplicistico
laissez faire . E nessuno ha saputo mettere minimamente in luce i nessi tra le
guerre fuori dall'Occidente e tutte le tipologie di espulsione perpetrate
nell'Occidente stesso".
Il suo ultimo
libro, invece, si intitola per l'appunto Espulsioni. Oggi le farà un certo effetto osservare come ciò che ogni Paese
europeo chiede è esattamente "espellere" gli immigrati irregolari.
"Sì, proprio così. Ma il paradosso è che la maggioranza dei migranti che
stanno approdando in Europa vive già in una condizione di espulsione. Direi
anzi che gli sbarchi di queste settimane sono probabilmente il primo segnale di
un futuro nel quale sempre più persone saranno costrette a muoversi, proprio
perché espulse dall'economia globale. E quando il proprio territorio è
devastato dalla guerra, ma anche da desertificazioni, inondazioni,
espropriazioni terriere, non si aspira ad altro che alla mera sopravvivenza.
Non si fugge in cerca di una vita migliore, ma soltanto per conservare la
propria vita".
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