venerdì 31 maggio 2013

Parasubordinati e lavoro atipico: quale situazione



Presentati i dati dell'Ossevatorio sul lavoro "Atipico" dell'Associazione 20 maggio - Tutelareilavori
Il rapporto è stato curato dal prof. dal Prof. Patrizio Di Nicola

Dai dati elaborati dal Prof. Patrizio Di Nicola emerge chiaramente un mondo del lavoro atipico molto importante economicamente.
Ammontano, infatti, a 25.781.443.002 di € i compensi dei lavoratori parasubordinati nel 2011, a cui si aggiungono 5.297.852.914 di € dei Professionisti con partita Iva iscritti alla gestione separata, per oltre 31 miliardi di compensi percepiti.
Molto importanti per la tenuta del welfare, inoltre, sono i 5.771.609.739 di contributi versati ogni anno dai lavoratori parasubordinati e dai loro committenti a cui vanno sommati i 1.260.338.349 versati interamente dai professionisti con Partita Iva.
Sono circa 7 miliardi di Euro di contributi versati all’Inps ogni anno.
I più trascurati dal welfare
Nonostante questo grande apporto economico si denotano: compensi molto bassi; scarse tutele sociali in caso di malattia, maternità, infortunio e, pur avendo perso in 5 anni di crisi oltre 207 mila posizioni lavorative, sono gli unici a non aver beneficiato di nessun tipo di ammortizzatore sociale.
Rilevanti numericamente.
I lavoratori “atipici” iscritti alla gestione separata sono una parte molto rilevante del mondo del lavoro, 1.745.999 individui, ma non sono realmente considerati in termini di futuro previdenziale, tutele sociali e diritti.
Malgrado esistano per l’Inps da oltre 17 anni e siano una parte stabile del lavoro anche da prima del 1996 vengono percepiti come un fenomeno perennemente transitorio.
Tale disattenzione per questa parte del mondo del lavoro, fatta di giovani e adulti fortemente scolarizzati, specializzati e con una componente femminile molto ampia, dipende dall'errata percezione che sia un fenomeno transitorio e, quindi, non degno di attenzione, regolazione, sostegno.
Disegualianze ed ingiustizie.
Le donne sono il 42% fra i parasubordinati compresi quelli che hanno altri redditi (come dipendenti, come autonomi, come imprenditori o come pensionati) ma diventano il 50,38% se si prendono in considerazione i soli lavoratori parasubordinati “esclusivi” (chi non ha altri redditi diversi da quelli per cui si versano contributi alla Gestione Separata Inps).
Dai dati emergono chiaramente che, a parità di lavoro, esistono forti differenze retributive con il lavoro subordinato la cui media dei compensi è molto più alta.
Sono però le differenze retributive di genere che sono ingiustificati e inaccettabili e toccano punte di 13 mila € di compenso in meno nella fascia d’età tra 40 e 59 anni tra i parasubordinati a sfavore della componente femminile.
Le differenze sono più odiose quando si tratta di lavoratori “esclusivi” (chi ha solo redditi inseriti nella gestione separata Inps).
Fra i collaboratori a progetto, ad esempio, che hanno solo questo tipo di lavoro e di reddito si rileva una media di compensi di 8,290 € annui (più di due volte inferiore alla media dei compensi dei dipendenti) e le collaboratrici poco più di 6 mila € di reddito annuo cioè ben 4.129€ annui in meno dei loro colleghi maschi.
Come si vedrà nel dettaglio questa odiosa differenza si accompagna a quelle in base all’area geografica ma anche in relazione all’età.
Diversamente giovani
Pur essendo considerate generalmente attività legate alla condizione giovanile la media età tra i parasubordinati si aggira attorno ai 40 anni.
La fascia d’età dove è concentrato il maggior numero di lavoratrici e lavoratori è quella tra i 30 e i 49 anni (699.828) seguita da quella over 50 (430.052) e quella fino a 29 anni (334.860).
Questo dato conferma che queste attività sono tra le principali occasioni d’accesso al lavoro dei giovani ma che poi diventano sempre di più una condizione permanente o, almeno, si ripropongono costantemente nell’arco di tutta la vita lavorativa.
208 mila posti di lavoro persi in 5 anni
Nel lavoro parasubordinato si sono persi dal 2007 ad oggi 207.881 posti di lavoro di cui 175 mila solo tra i collaboratori. Purtroppo non sono stati, nella stragrande maggioranza dei casi, trasformazioni in posti di lavoro stabile o almeno meglio tutelato.
Al contrario questi posti di lavoro si sono persi verso la disoccupazione, verso l’apertura di partite iva individuali (confermato dal contemporaneo aumento delle partite iva iscritte alla stessa gestione separata + 59 mila), verso forme di lavoro ancora meno controllate e visibili nelle statistiche come le collaborazioni occasionali con ritenuta d’acconto o, in alcuni settori, la cessione dei diritti d’autore e, probabilmente, una quota verso il lavoro nero.
L’aggravante di questa enorme perdita di lavoro è che ha riguardato lavoratori spesso laureati e mediamente giovani senza che ci fosse nessun ammortizzatore sociale durante tutta la crisi e, questo fatto, stride fortemente se paragonato ai giusti ed enormi sforzi fatti per sostenere il reddito di tutte le altre componenti del lavoro durante questi ultimi 5 anni.
I professionisti con partita iva individuale
Tra i professionisti con Partita Iva individuale iscritti alla gestione separata la situazione è leggermente differente.
Intanto se tra i parasubordinati “esclusivi” la componente femminile è addirittura maggiore (485 mila su 477 mila maschi) tra i professionisti la componente maschile è prevalente con
173 mila individui contro i 108 mila di quella femminile.
Gli effetti della crisi e delle normative di regolazione delle sole collaborazioni.
Come dicevamo i contribuenti attivi per ogni anno possessori di partita iva sono passati dai 222.571 del 2007 ai 281.259 del 2011 con un aumento di poco meno di 59 mila partite iva. E’ la dimostrazione che il fenomeno di travaso tra le collaborazioni coordinate e continuative e altre forme di lavoro a partire dalle partite iva è iniziato ben prima della Riforma Fornero con l’aumento dei contributi del 2007 e poi proseguito negli anni a venire e con i giusti tentativi di diminuire la possibilità d’abuso sulle collaborazioni a progetto.
La riforma Fornero ha solo aggravato ulteriormente questo aspetto continuando a commettere lo stesso errore del passato. Regolare una sola forma di lavoro atipico o precario lasciando mano libera e minori costi sulle molteplici altre forme d’im piego a disposizione dei datori di lavoro e lasciando ai minimi termini la possibilità di regolazione delle parti sociali che poteva e può essere una delle poche vie d’uscita per coniugare la tenuta e la compatibilità economica verificata settore per settore, con una graduale ma incontrovertibile estensione dei compensi e, soprattutto, dei diritti e delle tutele sociali che possono fare la differenza fra un lavoro imposto ed odioso e un lavoro dignitoso e valorizzato professionalmente.
Da notare è anche un aumento del 73% delle partite iva over 60 che probabilmente provengono in gran parte dal lavoro subordinato e, dopo l’espulsione dal lavoro, hanno avuto come unica via d’uscita quella di diventare lavoratori autonomi.
Differenze retributive
Anche tra i professionisti con Partita Iva si denota una vistosa differenza di genere nelle retribuzioni fra donne e uomini, anche se di entità inferiore rispetto ai parasubordinati e ai collaboratori a progetto, sia in media (6 mila €) sia rispetto al crescere dell'età dei professionisti dove la differenza massima si avvicina ma non raggiunge i 7.000 € tra i 40/59 anni.
Forse a sorpresa la differenza retributiva di genere tra i compensi è maggiore nel Veneto con 6.708 € annui in meno per le donne rispetto ai loro colleghi maschi mentre la differenza tra i generi minore si trova nelle regioni del sud dove, però, sono inferiori anche i compensi di entrambi i sessi.
In sostanza una professionista Veneta percepisce in media come un suo collega in Sardegna oppure una lavoratrice ligure o toscana ha un compenso inferiore ad un suo collega maschio che vive in Sicilia o Basilicata. 
Ingiustizia per legge: i redditi delle partite iva e gli aumenti dei contributi Inps.
Nessuno può condividere, come si vede in tabella di pag. 22, una scelta che porta il netto disponibile di un soggetto che ha un reddito di 1.000 euro al mese dai 545 € attuali a 485 € mensili dopo il completamento dell’aumento dei contributi Inps oppure quello di un soggetto che realizza un reddito di 2.000 euro lordi al mese e poi se ne ritrova in tasca 960 oggi e 840 € mensili quando l’aumento dei contributi sarà a regime.
Tutto ciò è ancor meno concepibile se si raffrontato gli stessi redditi con quelli dei dipendenti a cui rimangono netti 811 € su mille lordi di partenza e 1.421 € su duemila lordi iniziali.
Parliamo di lavoratori con partita iva individuale che lavorano prevalentemente per imprese private e pubbliche a cui fatturano fino all’ultimo centesimo.
La palese ingiustizia verso le partite iva “esclusive” (iscritte solo alla gestione separata Inps) che oggi versano da sole il 27% del loro reddito deriva anche dal fatto che inspiegabilmente versano più contributi di ogni altro contribuente autonomo (commercianti ed artigiani pagheranno il 24% fra 6 anni) e più dei datori di lavoro per i loro dipendenti, la cui contribuzione si ferma al massimo al 24%.
Occorre valutare seriamente, per non perdere altra forza lavoro soprattutto giovanile e fortemente scolarizzata, di soprassedere all'aumento della contribuzione della gestione separata anche solo per i prossimi due anni ma soprattutto interrompere ogni aumento in via definitiva per le partite iva “esclusive”.
Questa misura di giustizia contributiva sulle partite Iva riguarderebbe 195.222 persone (dati Inps 2011) che versano 3.700.651.794€ di contributi annui a fronte di un minore incremento del gettito (a gettito attuale invariato) di soli 37 milioni di € annui.
Dal sito www.tutelareilavori.it

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