All'indomani dell'ulteriore regalo della Bce alle banche europee (1.000 miliardi di €) mi sembra il caso di riflettere sul welfare, sul suo futuro, su quello che resta del modello europeo di welfare.
Un bel articolo di Barbara Spinelli, pubblicato su Repubblica del 29 febbraio 2012, fa il punto della situazione.
Vale la pena, secondo me, leggerlo.
Parlando
dell'austerità che si impone a Atene, e delle riforme strutturali
necessarie al ritorno della crescita, il governatore della Banca
centrale europea Mario Draghi è ricorso a un'immagine forte. In
un'intervista al Wall Street Journal, il 23 febbraio, ha detto che quel
che si profila in Grecia è un Nuovo Mondo. L'immagine è forte, e
singolare, perché di Nuovi Mondi nessuno osa più molto parlare: tanti ne
sono stati promessi, e le cose non sono andate bene.
Generalmente
quando si annunciano Nuovi Mondi se ne seppelliscono di vecchi, o
perché falliti o perché malgovernati. Goethe, ad esempio, era convinto
che la Rivoluzione francese non avrebbe spazzato via i monarchi come
"vecchie scope", se questi fossero stati veri monarchi. Lo stesso si può
dire oggi dell'Europa, che versa in condizioni ancora peggiori di quei
re: la corona non l'ha persa; non l'ha mai pienamente avuta. Non esiste
un impero europeo che governi il caos. Non esistono partiti europeisti
che si battano contro l'impotente potenza dei nazionalismi, letale per
l'Unione. Proviamo dunque a vederlo e pensarlo, il Nuovo Mondo proposto
non solo a Atene ma a tutti noi.
È un mondo che abolirà il
vecchio regime, e ci libererà dei sepolcri imbiancati dentro cui
giacciono divinità ancora onorate, ma ormai finite: "All'esterno paiono
belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume", di
ipocrisia e iniquità. Tra questi sepolcri viene additato il Welfare:
cioè quel sistema di protezione universale dai rischi della malattia,
del lavoro, della vecchiaia, conosciuto in Europa dopo il '45. "Lo Stato
sociale è morto", annuncia il governatore della Bce, perché perde senso
se non copre tutti i cittadini e se il lavoro resta duale: da una parte
i giovani costretti alla flessibilità, dall'altra i protetti con salari
basati sull'anzianità e non sulla produttività.