mercoledì 4 maggio 2011

Perchè il no al contratto del commercio.

Le cronache sindacali negli ultimi mesi sono state piene di articoli, di editoriali, di opinioni che "spiegavano" come la Cgil fosse un sindacato ideologico che alle buone ragioni contrattuali privilegiava le motivazioni politiche.
Tutti a parlare della Fiom e del suo confronto con la Fiat, tutti a tessere le lodi delle altre sigle sindacali annoverate sul fronte riformista e delle moderne relazioni industriali.
Non voglio in questa sede parlare della Fiom ma della Filcams, la categoria della Cgil che organizzza i lavoratori del commercio, dei servizi e delle mense.
E' passsato quasi sotto silenzio il fatto che nel febbraio di quest'anno anche nel settore del commercio e della distribuzione si è avuto il rinnovo contrattuale senza la firma della Cgil, l'organizzazione sindacale più rappresentativa del settore.
Conoscendo la storia contrattuale della Filcams pochi hanno potuto denunciaare il "vetero-sindacalismo ideologico" dei dirigenti.
Detto questo, nessuno, tranne lodevoli eccezioni, ha tentato di spiegare le ragioni che hanno spinto la Filcams a non sottoscrivere l'accordo.  
Nessuno ha cercato di capire. Tutti a pensare che ancora una volta la Cgil si tirava indietro, presa da quello che qualcuno ritiene "sindrome da firma".
Pur non essendo direttamente impegnato in quella categoria, utilizzando questo strumento unito a quello di Facebook, vedrò di dare alcuni elementi di riflessione sul contratto del commercio, chiedendomi e chiedendo a chi avrà la pazienza di leggere questa nota, cosa penserebbero se il contratto li riguardasse direttamente?
Ipotesi non remota in considereazione che nei prossimi mesi dovranno essere rinnovati una decina di contratti che coinvolgono migliaia di lavoratori.

1) Il contratto richiama per intero la legge 183/11 (collegato al lavoro)  nella parte che modifica il processo del lavoro introducendo la clausola compromissoria con la quale si devolve a un collegio arbitrale la definizione delle controversie che potrebbe insorgere durante il rapporto di lavoro.
(viene meno il diritto dei lavoratori di chiedere al proprio giudice il riconoscimento di fondamentali istituti contrattuali) 

2) le aziende che si impegnano a riconoscere ai propri dipendenti l'indennità di malattia, attualmente riconosciuta dall'Inps, saranno esonerate dal pagamento del contributo previsto dalla legge.
(è la fine della solidarietà tra i lavoratori. In un sistema dove vige la ripartizione delle risorse e a tutti viene garantito quanto previsto dalla legge a prescindere da quanto si è versato, il rischio è il collasso dell'istituto della malattia così come lo abbiamo conosciuto)

3) l'introduzione di un sistema che riduce percentualmente l'integrazione dell'indennità di malattia a carico delle aziende al verificarsi di più eventi morbosi.
(un'arma in più delle aziende per ricattare i propri dipendenti)

4) l'incremento di un anno del periodo di apprendistato per i lavoratori immigrati nel caso in cui il datore di lavoro si impegni a svolgere attività formative che prevedano l'insegnamento della lingua italiana.
(è bene ricordare che i 12 mesi si aggiungono ai 36 o 48 mesi già previsti. Durante il periodo di apprendistato il datore di lavoro è esonerato dal pagare i contributi che sono a carico della collettività. Un regalo per le aziende)

5) ultima chicca la possibilità di derogare alle norme contrattuali al verificarsi di determinate situazioni a partire da crisi o di nuovi investimenti ma anche che le deroghe potranno interessare le aree meridionali.
(a quanto le nuove gabbie salariali?)

Fermiamoci, le divisioni non servono, rendono le persone più deboli e diventerà sempre più difficile recuperare ciò che si è perso. 

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